mercoledì 12 dicembre 2007

Attualità di Leopardi

Or la vita degl’italiani è appunto tale, senza prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo, e ristretta al solo presente. Ma lasciando questo e restringendoci alla sola mancanza di società, certo è che uno de’ grandissimi e principali mezzi che restano oggi agli uomini per non avvedersi affatto della nullità delle cose loro, o per non sentirla, benché conoscendola, per non essere nella pratica persuasi della total frivolezza delle loro occupazioni qualunque e della totale indegnità della vita ad esser con fatiche e con sollecitudini coltivata, studiata ed esercitata, uno, dico, de’ principali mezzi e forse il principale assolutamente, è la società. (...)


Come la disperazione, così né più né meno il disprezzo e l’intimo sentimento della vanità della vita sono i maggiori nemici del bene operare, e autori del male e della immoralità. Nasce da quelle disposizioni la indifferenza profonda, radicata ed efficacissima verso se stessi e verso gli altri, che è la maggior peste de’ costumi, de’ caratteri, e della morale. (...)


La raillerie il persifflage, cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. (...)


Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. (...)


... lo spirito pubblico in Italia è tale, che, salvo il prescritto dalle leggi e ordinanze de’ principi, lascia a ciascuno quasi intera libertà di condursi in tutto il resto come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci, o impacciandosene sia molto atteso, né se n’impacci mai in modo da dar molta briga e da far molto considerare il suo piacere o dispiacere, approvazione o disapprovazione.

da Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani

martedì 11 dicembre 2007

messaggio da 176-176




Ciao, è la prima volta che visito il blog, come ho detto ad una delle vostre componenti qualche giorno fa, mi sembra rischioso dare la possibilità a tutti di modificare la struttura del blog (un pazzo o un inesperto potrebbero cancellare tranquillamente tutti i post), è meglio tenere un solo amministratore che invita gli utenti.

Finisco con la tecnica e passo alla politica.
Stanno nascendo a Venezia molti gruppi di "democrazia dal basso", credo sia il caso di fare una panoramica dell'esistente, se qualcuno ha ulteriori informazioni sarebbe utile inserle nel blog.
I gruppi che conosco io sono questi:
gruppo dei quarantenni (si sono trovati già due volte all'Ateneo Veneto, credo che l'idea l'abbia lanciata Shaul Bassi, gli incontri vengono moderati dal direttore del Gazzettino, per partecipare alle riunioni bisogna inviare prima un breve curriculum!!!)
gruppo che ruota intorno all'Associazione Kairos di Alberta Toninato (non ho ancora partecipato a questo gruppo ma la mission dovrebbe essere quello di trovare una strategia comune delle associazioni culturali per relazionarsi all'Amministrazione).
terzo ed ultimo gruppo si riferisce ad una mail che ho ricevuto ieri da un'amica e oggetto degli incontri è il co-housing (credo vogliano lanciare un progetto di co-housing a Venezia cercando di sensibilizzare l'Amministrazione).
Per ora è tutto, saluti
176-176

mercoledì 21 novembre 2007

Mickey Mouse è già tra noi

Mickey Mouse è già tra noi, ma tutti, dall’Amministrazione comunale in giù, facciamo finta di non saperlo. Di che cosa parliamo? Non di semplici e innocui fumetti purtroppo, ma del fatto che la trasformazione del centro storico di Venezia in una vera e propria Disneyland sta già avvenendo.

Ve lo ricordate John Kay, docente della London School of Economics? Fu lui che, con una buona dose di cinismo e un’onestà intellettuale tutta anglosassone, esordì dicendo: “Venezia è già un parco tematico. Come centro di affari, politico ed economico, è morta centinaia di anni fa e solo il flusso dei suoi visitatori la tiene in vita. Oggi, la maggioranza delle persone nella città sono turisti, e la maggior parte di chi vi lavora sono pendolari legati al turismo. L’economia di Venezia è già quella di Disneyland e non quella di Bologna o di Los Angeles”. Allora, aggiungeva il figlio purissimo della perfida Albione, tanto vale farlo fruttare questo benedetto giacimento turistico!!

Da qui bisogna dunque partire, anche se il nostro italico carattere tende a negare l’evidenza e preferisce ostinarsi nel ripetere che nulla è irreparabile e che basta solo un mite ed equilibrato buon governo della città.

Quella veneziana è invece – bisogna innanzitutto ammetterlo - una vera e propria monocultura economica: solo l’indotto occupazionale turistico conta; solo gli interessi di albergatori, ristoratori, gondolieri, tassisti, commercianti, venditori ambulanti pesano.
E pesano non solo economicamente ma anche politicamente. Soldi e voti; licenze e consenso; queste sono le pesanti dinamiche cittadine. Il resto, purtroppo, è marginale; buono magari per pochi ed estemporanei esercizi di retorica populista, ma nulla di più.

Da questa constatazione occorre partire.
E bisogna aggiungere che il cammino del cambiamento è davvero impervio: non si tratta di imboccare un tranquillo sentiero di montagna ma di cimentarsi in un autentico sesto grado. Quanti hanno oggi, fra noi, l’audacia e il coraggio di intraprenderlo?

La monocultura turistica ha distrutto e sta distruggendo tutta la biodiversità economica, culturale e sociale della città: ha distrutto l’artigianato e i mestieri tradizionali, ma ha distrutto anche quei luoghi della conoscenza che a partire dagli anni ’60 avevano fatto di Venezia un laboratorio di pensiero e di cultura in Italia e all’estero.

Oggi il sistema universitario veneziano è ridotto in molti casi a un grosso liceo di provincia; e dalla provincia e dal territorio regionale provengono buona parte degli studenti e dei ricercatori. Poche le eccezioni (la Venice International University, Thetis e poco altro) e, come tutte le eccezioni, fatte apposta per confermare la regola.

Mentre a Londra, a Bangalore o a Pechino, ma anche a Torino, Milano e Pisa si investe nell’apertura internazionale delle Università e delle città che ospitano laboratori e centri di ricerca, qui apriamo a McDonald's e MSC (e altre allegre navi da crociera).

Eppure proprio questa città - sopravvissuta alle industrie di Marghera e al sacco urbanistico che ha segnato in profondità molte città italiane - avrebbe oggi i numeri, tutti i numeri, per diventare un grande centro di produzione immateriale.

Una Venezia post-moderna e autentica, efficiente e umana, hi-tech e tradizionale.
Il sistema universitario potrebbe essere l’ossatura su cui costruire e immaginare un nuovo ritmo urbano, nuove qualità sociali, nuovi luoghi del vivere.

Ma per farlo, occorre volontà politica e occorrono risorse. C’è bisogno di servizi pubblici e privati adeguati – trasporti in primis ; occorre una politica della casa degna di questo nome.
In definitiva, si tratterebbe di sviluppare una rete infrastrutturale materiale e immateriale in grado di rendere appetibile per ricercatori e artisti, studenti e tecnici, stare qui invece che a Londra o Berlino.

Ci sarebbe tanto da fare, tanto da costruire.
Ma per farlo bisogna ridurre, ridimensionare drasticamente la monocultura turistica. Altrimenti nessuna altra iniziativa potrà attecchire.

Si tratterebbe di mettere in cantiere una vera e propria riconversione produttiva: librerie al posto di pizzerie al taglio; cinema e teatri al posto di alberghi e “vivaldate”; supermercati e negozi normali al posto di ristoranti e bar; lavanderie, centri di informatica ed elettronica invece di negozi di maschere e ciarpame.

Si tratterebbe anche di smetterla di considerare il destino del centro storico veneziano come qualcosa di separato da quello della Terraferma, di Mestre, Marghera, di un hinterland sempre più (malamente) integrato di un milione di abitanti.

E poi ci vuole un’altra immagine della città nel mondo. E’ da criminali continuare a spendere soldi pubblici in attività di promozione (a che cosa serve l’Azienda di promozione turistica?) quando si tratta semmai di arginare lo tsunami turistico che arriverà su Venezia (da Cina e India in particolare) nei prossimi anni.

Venezia ha bisogno di scelte politiche. Non basta lasciar fare al mercato, perché contro questo monopolio il mercato da solo non può e non vuole immaginare nulla di diverso.

Questo, lo sappiamo, significa intaccare rendite di posizione e interessi forti, fortissimi.
Abbiamo il coraggio di farlo? Abbiamo, a mo’ d’esempio, la forza di non dare più licenze per chioschi e baracchini che infestano la città e rendono impraticabile lo spazio pubblico per qualsiasi altra attività?

Molti hanno già detto di no, che quel coraggio non ce l’hanno, perché, dicono, bisogna essere “realisti”, perché così va il mondo....

Noi pensiamo che occorra visione. Non visionari, ma politici lungimiranti e lucidi, coraggiosi e determinati. Di questo abbiamo bisogno. Altrimenti, destinati come siamo a vivere tra Mickey Mouse e Donald Duck, non ci resta che piangere. O andarcene.



Venezia, 19 novembre 2007



FONDAMENTE
Gruppo di cultura politica

lunedì 8 ottobre 2007

Prendere posizione

Cari tutti,

Vorrei tentare in poche righe un ragionamento a voce alta su quanto accade nel nostro Paese.
Il nostro incontro del 29 settembre doveva essere l'occasione e il "luogo" per un'analisi aperta e collegiale; doveva essere il tentativo come gruppo di cultura politica di dire la nostra. Non lo è stato e me ne dispiace.

Provo ora, a mio modo, a rilanciare la precedente sollecitazione di Fernando.

Il 20 ottobre a Roma la Sinistra sarà chiamata ad aderire o a non aderire a un appello che punta il dito su sette grandi questioni: la precarietà del lavoro; la questione delle diseguaglianze sociali; la difesa dei diritti civili e della laicità dello Stato; il valore della cittadinanza (in particolare per i migranti); la lotta per la pace; la difesa e valorizzazione dell'ambiente; l'affermazione di una cultura della legalità.

Fare politica vuol dire, a mio modo di intendere, prendere posizione: manifestare un assenso o un dissenso; e, ancora, indicare le assenze, le insufficienze, le distorsioni.

Fare politica vuol dire rendere esplicita la propria collocazione e il proprio punto di vista; vuol dire vivere i conflitti che, su queste o su altre questioni, dentro la società, si aprono e si apriranno.

E' per questo che, con molta approssimazione e semplificazione, provo a dire la mia.

Comincio con la più dolorosa questione del lavoro e della precarietà.

Il mondo del lavoro è un mondo in grande difficoltà, pieno di sofferenze piccole e grandi: su questo non vi è dubbio. L'esistenza di milioni di lavoratori italiani è messa in questione dai processi di globalizzazione che facendo saltare i confini nazionali e le protezioni economiche e fiscali nazionali aprono a una tremenda competizione internazionale. Questa produce due effetti principali: bassi salari e precarietà (chiamata da altri flessibilità). Concordo quindi sull'analisi. Mi permetto però di osservare:
1) la difesa dei nostri lavoratori rimane comunque una difesa dello status quo - e non la costruzione di una realtà migliore e più giusta che veda coinvolti oltre ai lavoratori italiani anche quelli cinesi, indiani, brasiliani, etc.. Le difese spesso - senza un progetto che rilanci - sono destinate, nella migliore delle ipotesi, ad arretrare; nella peggiore, a franare miseramente.
2) la condizione di difesa non è la stessa per tutti: chi sta in una fabbrica tessile o meccanica è di gran lunga più esposto di chi lavora nel pubblico impiego o in alcuni servizi protetti. Questa condizione diseguale produce vantaggi e svantaggi: chi è sulla frontiera della globalizzazione è destinato a soccombere al ricatto "o così o me ne vado a produrre altrove"; chi sta nel comparto "chiuso" della nostra economia nazionale può continuare invece a difendere i propri diritti di lavoratore.
3) I diritti o sono di tutti o non sono. Altrimenti sono solo privilegi - più o meno comprensibili.
4) Ma la questione più radicale e decisiva ha a che fare con la centralità della condizione del produttore nella nostra società: è chiaro che, nell'attuale divisione internazionale del lavoro, noi Nord siamo destinati a contare sempre più come consumatori e sempre meno come produttori.
La nuova centralità del lavoro sembra essere stata anch'essa delocalizzata in Cina, in India o altrove.
Posso continuare a resistere. Ma non basta. Occorre avere un progetto di società e di vita.

E qui vengo a un'altra delle questioni della piattaforma del 20 ottobre: la cittadinanza.
Il concetto e il valore di cittadinanza non può e non deve essere solo un valore giuridico-formale. Occorre costruire (o ri-costruire) una cittadinanza sociale, economica, culturale.
Lì dentro ci stiamo tutti: migranti e residenti; cittadini nuovi e vecchi.

Forse la nostra precaria condizione di produttori o di consumatori dovrebbe lasciare il posto alla nostra instabile condizione di cittadini. Su questo dobbiamo concentrare l'attenzione e l'agire politico. Su questo dobbiamo ricostruire la centralità del Politico.

La nostra condizione cittadina sussiste prima e dopo il nostro essere produttori o consumatori (oltre quindi lo strapotere dell'economico nelle nostre vite). Basta pensare a quanto sia difficile riconoscere davvero la condizione dei giovani e degli anziani: condizioni di vita ridotte all'interno dell'attuale apparato sociale a "funzioni non produttive" e come tali problematiche. Schemi inumani e, per di più rigidi e studipi: il pensionato per definizione non è più "attivo" (cioè smette di produrre valore per la propria collettività); il giovane è per antonomasia "un problema", sia nella fase formativa che nella fase di inserimento lavorativo.

E' un cambiamento logico di portata storica che ci obbligherebbe a rivedere radicalmente i nostri diritti e anche le nostre battaglie.
Una di queste, fondamentali, sarebbe il diritto a un reddito minimo di cittadinanza.
Proviamo a pensare come cambierebbero immediatamente le cose: si aprirebbe uno scenario radicalmente diverso rispetto all'attuale condizione di precarietà e alle fragilità del nostro diritto ad avere condizioni dignitose di vita (abitare, nutrirsi, vestirsi).

A partire da questa sicurezza, da questo nuovo welfare, qualsiasi precarietà lavorativa potrebbe essere affrontata dotando ognuno di noi di un inedito grado di libertà (ad esempio, il diritto a licenziarsi da un lavoro poco gratificante, mal remunerato, inadatto alle proprie capacità e aspirazioni).

Questa nuova centralità della cittadinanza ridurrebbe anche lo stesso strapotere del soggetto consumatore: il nostro diritto a esistere non potrebbe più essere delegato alla nostra capacità di consumare (il diabolico meccanismo per cui contiamo per quanto consumiamo).

Lavoro, diseguaglianze sociali e cittadinanza diventano qui una sola questione.

Qualcuno ha sostenuto in questi mesi che essere davvero liberisti vuol dire essere di sinistra.
Raccolgo la sfida: libertà di assumere e di licenziare, ma a patto che si assicuri a tutti un reddito minimo di cittadinanza (800 euro).
Ma subito lo stesso diligente economista/liberista risponderebbe: ma questo non è possibile!!! Occorre rispettare i fondamentali dell'economia!! La nostra società non si può permettere questo lusso!

Io credo che questo "lusso" ce lo dobbiamo e possiamo permettere. Basta decidere di attaccare seriamente la rendita e i patrimoni feudali di questo Paese; basta decidere di introdurre, per finanziare in parte il reddito minimo di cittadinanza, un'imposta patrimoniale.

Uno spettro si aggira per la casa della Sinistra: lo spettro della Patrimoniale!! Aveva fatto una fugace apparizione agli inizi degli anni '90 per scomparire definitivamente poco dopo.Chi l'ha vista?

Sulle altre questioni.

Laicità e Legalità sono due battaglie di civiltà. Vanno condotte con determinazione sapendo che non si cambia un Paese in pochi anni. Ma, prima o poi, bisognerà pur cominciare.

Non lo farà certo il Partito Democratico che vuol comporre l'incomponibile; né lo faranno i giustizialisti di turno, né i "giovani politici" d'assalto ( di cui purtroppo è pieno anche il Governo Prodi).

Ambiente e Pace sono questioni globali, planetarie: come tali vanno affrontate rendendo la battaglia politica su questi temi sovranazionale. Nessuna nuova Politica è possibile se continuiamo a ragionare dentro i nostri angusti confini, per ottusità o per comodo.

Con queste idee in testa andrò alla Manifestazione del 20 ottobre.
So che avrò accanto molti che non condivideranno questa impostazione: alcuni per paura, altri per difesa della loro condizione particolare (di sindacalisti, di dipendenti pubblici, di lavoratori interinali, etc..).
Ma occorrerà prima o poi guardarsi negli occhi e dirci che senza un linguaggio comune, senza una disponibilità a ripensare radicalmente la Politica e la nostra società, senza un terreno di intesa su poche (forse solo una) questioni comuni, qui non andiamo da nessuna parte.
Anzi peggio, saremo, parafrasando un "intelo" francese, i nuovi naufraghi del Pianeta.


Attendo vostri commenti.

State bene.

Giampietro Pizzo

mercoledì 25 luglio 2007

A proposito di "scoasse"

Giampietro segnala l'articolo "Una storia di rifiuti buoni" pubblicato questa settimana su Internazionale (n.702 del 20/26 luglio 2007).

Dice Salvatore Aloise*:

"A Mercato San Severino non ci sono cassonetti per strada. E tanto meno cumuli di immondizia sui marciapiedi. Eppure siamo in provincia di Salerno, in quella Campania alle prese, da anni, con il problema dei rifiuti. Niente odori nauseabondi. Niente incendi notturni. (....)
A dire il vero, qualche campana gialla per la raccolta del vetro si vede. Al comune spiegano, però, che ne hanno lasciata qualcuna perché raccogliere il vetro in casa è rischioso. Per il resto, i cittadini devono tenere in casa la spazzatura dopo averla suddivisa. Poi, secondo una precisa turnazione, si mettono fuori dalla porta i sacchetti di diversi colori. La nettezza urbana prevede a raccoglierli. Non solo. Il cittadino mette un codice a barre sui sacchetti e i netturbini lo registrano. Il codice serve a determinare la parte variabile dell'imposta comunale sulla spazzatura. Chi più differenzia è premiato: la bolletta cala. Si può anche andare con i propri sacchetti, sempre nei giorni prestabiliti, al Centro raccolta, dove i rifiuti vengono pesati. In questo caso scatta un ulteriore bonus. "Nella nostra famiglia, anche i bambini lo sanno: i vasetti di yogurt vanno in un sacchetto, le lattine in un altro, il cartone del latte in un altro ancora", spiega la signora Giovanna, orgogliosa di dare il buon esempio. "Basta poco", incalza Mario. "Un po' di attenzione e possiamo contribuire tutti a tenere pulita la nostra città". Basta poco.
Dal 2001, Mercato San Severino è diventata così una specie di isola felice che riesce a fare più del 60 per cento di raccolta differenziata. Poco nota, come quel centinaio di altri comuni campani che, nonostante tutto, riesce a stare nella media del 35 per cento, come previsto dalla legge. "Anche nei momenti peggiori della crisi, qui siamo sempre riusciti a tenere sgombri i nostri marciapiedi", racconta Giovanni Romano, oggi vicesindaco, che è stato sindaco per due mandati e ha ideato il sistema. Il successo lo spiega in poche parole. Fare la raccolta differenziata poteva funzionare solo responsabilizzando i cittadini. "Con i cassonetti per strada no, siamo tutti troppo pigri". (....)

* Salvatore Aloise è corrispondente della rete televisiva franco-tedesca Arte e collabora con il quotidiano Le Monde. Nato in Italia e cresciuto in Francia, è a Roma da diciannove anni.


Giampietro dice: anche questa è Italia. L'ipotesi "senza cassonetti è meglio" non è poi così impossibile. Rimane la questione del come consegnare quando si è single, pendolari, "anomali" nei tempi e ritmi di vita. Ma basterebbero dei centri di raccolta aperti con orari flessibili...

mercoledì 18 luglio 2007

Indice Verbale 7 luglio, Villa Groggia

Alcune presentazioni.

Giampietro: metodo conduzione riunione, verbale, chiarimenti
Blog, semplice e essenziale, se qualcuno vuole può modificarlo.
Pagine aggiuntive, post, contributi

Il verbale diventa una base di discussione

Mario S: metterei le cose insieme. Fare il verbale è noioso, meglio forse degli indici di intervento su cui la persona stessa può inserirsi e completare, come diceva anche Lino.

Maria: l’altra volta già si diceva che il blog è interessante anche per tornare indietro e seguire il processo. Scrivere anche quello che ci rimane impresso detto da altri

Giampietro: dovremmo completare la lista inserendo le persone e gli indirizzi che mancano
Ho una perplessità: se c’è la pigrizia gli indici di intervento rimangono vuoti.

Cristina: ma poi ci mancherà il dibattito

Mario: proviamo oggi. Per le persone che leggono “da fuori” è un modo di veder crescere e svolgere il dibattito. Le riunioni potranno essere uno dei momenti del gruppo.

Lino: ma non si semplificano le cose. Forse il verbale è utile farlo a turno. Obbiettivo di crescita politica e utile per gestire le uscite pubbliche, serve per essere pronti, per avere la capacità di gestire il confronto, garanzia che non è riducibile ad una sintesi caduta nel “solito” gruppo e non di ricerca politica con garanzia di indipendenza individuale. Domande pubbliche e percorso di analisi.

Maria. Formulare meglio per renderci operativi
In forma sintetica e chiara

Yasser: io potrei avere problemi a scrivere sul blog, forse anche per pigrizia

Giampietro: continuo a pensare che sia meglio il principio di addizionalità verbale più blog per lasciare ognuno libero di intervenire nei modi, “alfabeto di socialità”, modi di comunicare e interagire pubblico
Rifiuti, che fare? Dentro e fuori dal gruppo, nel processo si danno le risposte. Il convincimento interno porta a uscire: Gramsciano collettivo che diventa fatto sociale.
La logica del partito porta alla crisi della politica. Sulle pensioni allargamento sociale interessante. Il peso del tempo è determinante in politica..

Yasser: vorrei chiarire la mia posizione sul verbale: meglio un verbale “alleggerito”, conciso

Giampietro: ribadisco il principio di addizionalità

Mario C.: ermeneutica del verbale

Giampietro: ripresa questione rifiuti come “carico ambientale” diceva Mario S. Produzione dei rifiuti collegato allo stile di vita. Basta governare gli stili di vita per cambiare?
Laboratorio Venezia : componente indigena più componente turistica
Città de-territorializzata
governo del territorio
gestione degli spazi pubblici
dimensione dentro e fuori
cassonetti si o no?
E la domenica?
Tempistica: intervento di un “esterno” (Santi e/o Viale), formulazione di domande

Sabrina: ritengo che bisognerebbe unire l’uscita pubblica con l’intervento dell’esperto e coinvolgere l’amministrazione

Mario C.: per il contraddittorio? Meglio uscita pubblica con esperto.

Giampietro: 1° momento con un esperto, un tecnico, importante ma come fatto interno. Non sono d’accordo sul definire buona amministrazione/cattiva amministrazione. Questo è politico, non tecnico.
2° momento con chi fa politica, amministrazione, con domande, idee, non rivendicazioni
3° momento con il coinvolgimento della cittadinanza. Non delegare per non produrre conflitto.

Cristina: non intervenire con conflittualità, sono d’accordo per evitare le solite dinamiche.
A Napoli ho degli amici organizzati che scrivono un giornale di quartiere
Formule di conoscenza

Roberto: Cambieresti, per esempio. La città ha risposto ma poi, dopo otto mesi, è praticamente tutto finito. Rifiuti e risparmio energetico per un discorso più generale.
Scopo degli incontri.
Politica e tecnica.
Costi di Venezia centro storico.

Andreina : credo che Cambieresti non abbia funzionato perché la cittadinanza non ci credeva veramente, perché l’idea partiva comunque dall’amministrazione, non viceversa.

Gigi: all’inizio c’erano anche dei controlli

Mario S: la raccolta è difficile se non condivisa dai cittadini
Tentativo di passare da argomenti “alti” nazionali e locali
Pensioni-rifiuti-stili di vita-TFR

Giampietro: Socialità / Solidarietà

Mario S.: particolarità di Venezia : apertura collettiva e sovrapporsi di società in un centro storico turistico: residenti, pendolari, studenti, turisti
Venezia laboratorio sperimentale. Stili di vita intrecciati e rapporto tra loro.
Operazione ribaltamento. 1000 kg/p./anno di rifiuti: come far rendere economicamente a ogni famiglia il rifiuto
Formalizzare il premio per il recupero al cittadino attento a trasformare il rifiuto in ricchezza

Lino: questione obiettivo del gruppo: tra politica, amministrazione e cittadinanza esistono comportamenti.
Scarichi di “rovinacci”, colline nuove in laguna, responsabilità politiche e amministrative.
Esiste una cittadinanza molto attiva: gondolieri, motoscafisti..
Nuovo tipo di socialità, qui un gruppo di dibattito, non necessariamente in contrapposizione con l’amministrazione. Crescita della cultura politica. Nei verbali si legge la crescita.
“Uso dell’esperto”
educazione e educabilità, sostituire con politica pedagogia, valori della costituzione, assunzione di responsabilità sociale

Giampietro: sforzo del pensare diversamente
La città come campo di battaglia/ abbandono alla realtà isolata di consumatore. Fatto comunicativo.
Scambiatori di valore: discarica trasformata
Produzione di merci / rifiuti
Approvvigionamenti delle città
Economia dell’imballaggio con interessi rilevanti

Mario S.: non ci sono le condizioni per smaltire: un trasloco, per esempio o rovinacci..

Giampietro: ma non sanzioni, legalità e omertà perché se c’è un eccesso di norma ognuno di noi diventa “abusivo”.
La raccolta differenziata è difficile e spesso innesca una socialità negativa

Maria: diversità di comportamenti in Canada, in Italia, rispetto alla legge
Elite canadese
Imprese italiane e gestione del territorio
In Italia si può lavorare sui “difetti”, perché gli italiani sono positivi e vivi

Roberto: modello veneto dell’impresa
Territorio e diversità
Esempio di Berlino, rispetto

Lino: si al principio del no alla sanzione, ma è impraticabile.

Giampietro: efficacia
In Sicilia stato parallelo:mafia, codici diversi
Camorra: esplosione della società
Veneto: antistatalità, stato foresto
Occorre arrivare a pensare:”stato è bello”, “pubblico è bello”
Contrastare il comportamento lesivo degli interessi pubblici

Mario C. : agire politico, concretamente, per arrivare alla cittadinanza. Esercizio di comunicazione ampia, efficacia.

Maria: parlare con le persone anche singolarmente, nella vita quotidiana: non delegare.

Giampietro: cristallizzazione delle idee

Sabrina: piuttosto che andare verso la città con idee è meglio ribaltare: domande alla cittadinanza, inchieste, questionari, interviste, provocazione e slogan per smuovere le coscienze

Giampietro: malinteso: iniziativa del comune per sentire la cittadinanza
E’ necessario sovrapporre i livelli
Sanzioni/incentivi
Legalità/illegalità
Scrivere delle domande
Scrivere anche per il “lancio” una comunicazione/lettera aperta alla cittadinanza

Gigi: rifiuto bello?!?

Mario S.: si, bello

Cristina: esempio di riciclo bello alla Biennale

Mario S. : negozi di abiti usati

Lino: una moda?
Controllo sociale sulla vita quotidiana
Politica per essere protagonisti con gli altri.
Piattaforme di interscambio
Dono: necessità ecologica
O si agisce o si aspetta che diventi appetibile per qualche lobby
La dimensione dell’inchiesta è capitale
Relazione con la gente e comunicazione quotidiana
Trasformazione con interventi paralleli e non verticali
Senso del rispetto pubblico, non delega alla casta
Sottrarsi a meccanismi di potere, sottrazione al mercato

Gigi: problemi di comunicazione.
Apertura agli amici ma poco interesse

Cristina: molto interesse se non si cade in “partitica”

Roberto: anche nel P.D. scontento per verticalità politica e partitica
Occorre cambiare il punto di vista
La tecnica può sposare la politica per velocizzare

Giampietro: prima della soluzione tecnica ci sono scelte politiche pubbliche
Dove è scritto che dobbiamo correre?
Progetti di società veneziana
Scelte su città e società

Mario S: comunicazione e espansione per cerchi. E’ difficile spiegare agli amici quello che facciamo,
invito
nel continuo spiegare agli altri c’è crescita continua.


Roberto: è difficile intercettare la cittadinanza se non su questioni concrete. E soluzioni.
Oggi non si può ancora saltare la gente comune e le loro esigenze concrete

Maria: cultura dell’economia e non della politica
Cambiare atteggiamento e modalità, creare e non accettare.
Non proposte concrete, meglio modalità da condividere, meglio su come fare e non necessariamente fare

Giampietro: il processo di bilancio sociale
No tecnica senza pensiero
La politica non ha riflettuto su quanto ha fatto
Non sono d’accordo sulla necessità di rispondere subito a questioni concrete senza visione ampia
Egoismo contro ragionamento sociale
Il valore non è solo economico
Ribaltare il discorso

Roberto: Sento un rifiuto ideologico verso la tecnica
Il futuro della città
la politica di oggi non è contrapposta a quella del futuro
soluzioni concrete e politiche

Mario S: le soluzioni tecniche possono essere le migliori del mondo e lo sono il Mose, il Passante, ma non risolvono il conflitto e anzi diventano fallimenti politici enormi.

Roberto: occorrono soluzioni tecniche condivise

Maria: particolarità di Venezia
Valorizzazione, non tecnica ma visione politica

Giampietro: Alla politica è d’obbligo dichiarare un progetto di città

Mario C.: come usciamo da qui? Si incastra il problema operatività

Silvia: Un atteggiamento unico per tutti i problemi affrontati
Predisposizione alla discussione

Giampietro: Esperto, domande, ipotesi di lavoro
Interessare la cittadinanza
Per esempio sull’acqua-bene pubblico

Mario C.: eccessiva destrutturalizzazione

Fernando: pratiche di comunicazione e condivisione importanti
Non si può fare a meno di arrivare al confronto con la politica istituzionale
Giochi fatti
Blocchi di potere
Rischio di muoversi bene sul piano delle intenzioni e poi non incidere.
I giochi sono già fatti: sub-lagunare, people-mover

Maria: bisogna incidere sull’approccio generale, non è pensabile sui singoli temi

Giampietro: una strada obbligata con bagaglio leggero e senza zavorra vincolante.
Percorsi autonomi impattanti
Cercare alleanze?
Mancanza di informazione.

Mario S: forse arriveremo tardi.
Vesta vuole cambiare: il bilancio è di colpo risanato, c’è un cambio previsto.
Ci prenderà in contropiede.
Ho lavorato con il Consorzio Ve Nuova.
Il conflitto sociale spaventa: bastano 20-30 persone determinate per bloccare un cantiere.
Le informazioni si trovano, anche noi le possiamo avere.

Maria: vorrei conoscere meglio i dati su residenti e abitanti, sui flussi.

Fernando: esistono buone pubblicazioni, di Casarin, per esempio o del Coses.

mercoledì 11 luglio 2007

Eugenio inserisce il seguente articolo come spunto di riflessione:


La paga
Furio Colombo

Un giovane tatuato e abbronzato di nome Fabrizio Corona attraversa l’inquadratura delle nostre televisioni e tutti gli spettatori sanno, di colpo, che è lui l’eroe del nostro tempo. Come fare a dirlo? Semplice. È ricco. Non ha mai lavorato. Ha colto con prontezza alcune buone occasioni (fotografare e poi ricattare), ha saputo farlo presto (da giovane) con le persone giuste (ricattabili) nel momento più adatto, mentre l’Italia, spaventata dal lavoro precario, dalle pensioni incerte e affascinata dalla ricchezza esentasse, guarda verso il solo valore a cui vale la pena di guardare: il danaro, purché sia molto. E se in mezzo c’è la disavventura della prigione, perché non prenderla come una «isola dei famosi», il luogo da cui passano brevemente (e per poco) con sfacciata spavalderia, tutti coloro che non sanno che farsene della buona reputazione e del vecchio e superato privilegio di essere incensurato, a confronto con una solida agiatezza?
Sono tutti coloro che non dovranno mai sedersi con Padoa-Schioppa per sapere se, quando, con quanto andranno in pensione, dopo trentacinque o quarant’anni di noiosissimo, ripetitivo e magari usurante lavoro e di versamento regolare (se nel tuo piccolo sei fortunato) dei contributi previsti dalla legge, che adesso tutti definiscono «inadeguati» ma che a te portavano via quasi metà della paga. Fabrizio Corona non è solo. Lui e la sua bella ragazza non vivono nel vuoto. Quando non insultano il giudice - un impiegato statale che ha osato interferire con la loro splendida vita - entrano in un’altra inquadratura, dove c’è Lele Mora e una corte di gente giovane, ricca, esentasse, un nuovo festoso presepio a bordo piscina in cui il nuovo Gesù bambino è un pacco di milioni. Per capire Lele Mora e Corona e la nuova Italia delle «Veline» che si presentano per approvazione fisica a certi portaborse di personaggi della Farnesina (ai tempi di Berlusconi) prima di arrivare in Rai, bisogna passare attraverso la sinistra «moderna» di Ichino e Tito Boeri.
Passare cioè attraverso un percorso in cui il duro giudizio per il lavoro (“fannulloni”) e l’irritazione per ogni esitazione a tagliare tasse e pensioni sta spostando tutto il peso, tutta la attenzione su qualunque modo non regolare di guadagnarsi la vita.
Ormai sappiamo che in ogni treno, invece di due ferrovieri ce ne può essere benissimo uno solo, e - per giunta - con un piede sempre su un pedale con cui dimostra di essere sveglio e attento. Se toglie il piede, interviene la direzione.
Ormai sappiamo che, da una parte della vita, una serie di nuove leggi molto lodate come “moderne” preferiscono definire il lavoro come una serie successiva di gabbie di precariato o, come dicono certe volte con linguaggio benevolo, “di lavoro a progetto”. E, dall’altra parte, coprono di vergogna gli anziani che vorrebbero staccare dopo 35 anni o 40 anni di effettivo lavoro; si fa del sarcasmo facile sul lavoro usurante (mimando timbri e sportelli) e si accusano i vecchi di bloccare, con la loro pretesa alla pensione - e magari a un po’ più di pensione - la strada ai giovani. Lo si rimprovera a loro, non a chi - in passato - ha governato male il paese, non a chi ha gestito male o liquidato o svenduto le imprese.
Allora l’immagine di Corona, che alla sua giovane età, circondato di ragazze svestite, con foto e ricatti e allegria e libera impresa ha già accumulato milioni (di cui si vanta senza che sia mai stato verificato il suo status fiscale) diventa l'immagine dell'eroe del nostro tempo. Non vorrai entrare nella gogna del precariato, passare la vita da fannullone ed affrontare una vecchiaia in cui ti ingiungono di restituire come un maltolto un po’ di anni di vita e un po’ di pensione?
* * *
Ho rispetto e attenzione per il prof. Ichino e per il prof. Boeri, e so benissimo che esistono i “fannulloni”. Esistono, quando è possibile (ma - diciamo la verità - meno che in altri settori e livelli sociali della vita) nel lavoro salariato e stipendiato. Perché ho detto «meno che in altri settori»? Credo che la risposta sia evidente: nel lavoro retribuito con paga o salario ci sono più controlli che per Tronchetti Provera. Dubito, per esempio, che ci siano “fannulloni” nel settore privato. E domando a Ichino: quanti “fannulloni” ci saranno nel settore pubblico della Agenzia delle Entrate se c’è stato, in un solo anno di attenzione di governo, un aumento così drammatico del gettito fiscale, un aumento grande abbastanza da cambiare in parte (disgraziatamente con infinita discussione ed estenuante indecisione) i piani prudenti di questo governo? Sappiamo tutti di disfunzioni del settore pubblico come le liste di attesa degli ospedali. Ma ogni indagine, anche privata e accurata, accerta clamorose colpe organizzative delle direzioni generali e delle Regioni. E anche una clamorosa insufficienza di personale e di fondi. Abbiamo tanti scandali di malasanità in Italia,ma non quello del personale sanitario che fa festa al bar mentre i pazienti attendono nelle famose liste di attesa.E non abbiamo alcun sistema per identificare e premiare i bravi. Eppure i bravi ci sono. Sono gli impegnati, i volontari del proprio lavoro pubblico che restano in ore non pagate e tornano in giorni non previsti. Devono esserci, se in un sistema pubblico così disarticolato da sovrapposizioni di leggi, brusche variazioni di orientamento politico, strani regolamenti mai aboliti e sindacati accusati di tutto, la durata della vita umana in Italia è un po’ più lunga che in America.
Vorrei essere chiaro. Ogni contributo a migliorare uno Stato malandato e una burocrazia così ossessiva e radicata nel costume che - appena possibile - si riproduce, come un incubo da fantascienza, anche nel settore privato, è utile, importante, urgente, specie se viene da fonti esperte di strutture complesse e capaci di semplificazioni organizzative.
Ma ecco da dove viene un problema grave che - anche nei dibattiti di sinistra - sta inquinando la vita politica e persino i passaggi logici delle mille discussioni che si accendono su come cambiare il futuro. Si sovrappongono due leggende che cercherò di ripetere qui, e di chiarire.
La prima è un percorso soggettivo che addita individui colpevoli. Sono i “fannulloni” di Ichino, sono coloro che “pretendono” di andare in pensione troppo giovani (o secondo i loro comodi) nelle riflessioni di Tito Boeri. È strano come gli esperti e autorevoli “discussant” (come si dice nelle tavole rotonde anglosassoni) non vedano la futilità di disegnare la scena del lavoro e quella della fine del lavoro a partire dalla trovata di creare una gogna per il “fannullone” e una gogna per il lavoratore in fuga verso la pensione.
È strano, perché nessuno troverebbe di buon gusto dire che i commercianti fischiano Prodi e Visco perché non vogliono pagare le tasse. Diremmo subito che fischiano - santo cielo - perché pagano troppe tasse. Al piccolo imprenditore scontento diciamo che si deve prestare ascolto. È giusto. Ma ci intratteniamo volentieri con il mito del lavoratore “fannullone” e con il rito dell’operaio in cerca di via di fuga, attraverso la pensione, dalla ripetizione infinita degli stessi gesti quotidiani, come se si trattasse di intere categorie di profittatori ben accasati dentro fabbriche e uffici, sotto una pioggia di benefici a cui, anche adesso che la festa è finita, non intendono rinunciare.
Strano anche che questa “festa finita” non impedisca di promettere prontamente nuove, ulteriori facilitazioni alle imprese (giusto, se è possibile facciamolo subito) e consigli un rispettoso e attento ascolto dei fischi e dei boati dei commercianti, artigiani, professioni liberalizzate in rivolta (certo che si deve ascoltare, e sanare subito eventuali errori e ingiustizie).
Ma se si tratta di lavoratori che si allarmano (dopo decine di convegni e centinaia di telegiornali) sul crollo del sistema previdenziale e sul costo del lavoro, sempre eccessivo- ci dicono- dal 1950 ai giorni nostri, e se si allarmano e protestano, e se, protestando mettono in moto i sindacati, subito si parla, nell’ordine: di sindacati conservatori, di rigurgiti massimalisti, di politica di estrema sinistra o di sinistra antagonista. Eppure la difesa del lavoro non è mai stata di estrema sinistra o di sinistra antagonista, ma soltanto di sinistra. È sempre stata ben dentro le strutture democratiche nelle quali chi lavora vuole continuare ad avere diritto di rappresentanza e di parola. Questa sinistra infatti sa benissimo che accanto alle teorie totalmente liberista del Nobel Milton Friedman - che ispira economisti di destra come Martino e Tremonti,e anche un po’ di riformatori- ci sono le voci del Nobel Joseph Stieglitz, del docente di Princeton Paul Krugman e, in Italia, dell’amato e rimpianto Sylos Labini, che - in difesa del lavoro - hanno avuto a hanno ancora molto da dire.Hanno da dire - soprattutto - che sul lavoro, e non sulla finanza, si fonda la democrazia e quella speciale forza della democrazia che viene dalla partecipazione e dal consenso.
* * *
C’è poi una seconda leggenda che circola negli infaticabili convegni economici sempre dedicati alla “festa finita” per le donne e gli uomini del lavoro quotidiano e del reddito fisso che credevano di meritare un po’ di pace, ma che alla “festa”(che adesso è finta) non sono mai stati invitati. Citerò la leggenda con le parole di Michele Salvati (Il Corriere della Sera, 30 giugno): «È l’alternativa statalista e socialdemocratica vicina alle posizioni del sindacato e delle grandi burocrazie, condivisa da coloro che ritengono che i problemi sociali si risolvono buttando soldi addosso. Insomma il “tassa e spendi” della nota caricatura della sinistra». Tutto ciò, secondo Salvati «sta nella pancia di buona parte del popolo di sinistra». Se intende dire che il popolo di sinistra è il popolo della gente che lavora e che dunque questa gente è un po’ ansiosa sulla continuazione del posto di lavoro e sulla pensione (che forse non sarà tanto presto e non sarà tanto grande) ed è un po’ pessimista, e non partecipa alle effervescenze del “Billionaire”, ha ragione. Ma potrebbe Salvati fare un esempio di governo “tassa e spendi” fra le democrazie industriali di oggi nel mondo? Potrebbe dirci se e quando, dai tempi del “New Deal” roosveltiano che ha posto fine alla grande depressione americana, causata da un mercato che non voleva regole, esistono (e dove) «coloro che ritengono che i problemi sociali si risolvono «buttando i soldi addosso»? Ha mai visto, in Italia, l’ospedale San Giacomo (Roma) o, in Usa, l’ospedale militare Walter Reid (Washington) dove i topi convivono con i feriti e i mutilati dell’Iraq? Perché parlare di un mondo che non esiste e intanto screditare ansie e fatti e realtà e paure del mondo del lavoro quotidiano che richiedono - se mai - grandi ripensamenti delle strutture organizzative, come ai tempi di Adriano Olivetti, piuttosto che gogna e sarcasmo per il “fannullone” (a proposito, si può essere fannulloni di propria iniziativa, dentro strutture bene organizzate, efficienti, ben dirette, che funzionano?) e ironia sul prendi e fuggi della pensione? Manca il quadro largo intorno al “fannullone”, subito diventato celebre, di Ichino. Ovvero la domanda “a monte” sulla organizzazione del lavoro e la sua efficienza in cui chi lavora è partner e non clown per la ricreazione dei riformisti doc.
Manca la realtà nel paesaggio di Michele Salvati. Nessuno tira i soldi addosso a nessuno, perché i soldi sono nei tesoretti di Corona e Fiorani e Lele Mora, veri monumenti al valor civile del nostro tempo. I costi del lavoro li stabiliscono loro. La pensione, magari un po’ eccessiva, l’hanno già accumulata. E il resto è vita, ben documentata da giornali e telegiornali.
I figli di quei poveri diavoli che adesso sono col cuore in gola in attesa di sapere se devono vergognarsi di andare in pensione prima dei sessantacinque anni (sempre che non siano stati già prepensionati a cinquanta anni dalle loro pregiate ditte in successive operazioni di “snellimento” che hanno risanato centinaia di aziende e zavorrato pesantemente l’INPS) adesso, quanto a modello per il futuro, sanno dove guardare. Certamente non vorranno cadere nella trappola del lavoro, della paga, della pensione. Se non ci occupiamo del destino di chi lavora che, alla fine, se tutto va bene va in pensione con un minimo di rispetto e di dignità, Fabrizio Corona sarà il nuovo modello per la prossima Italia.


furiocolombo@unita.it
Pubblicato il 08.07.07

mercoledì 27 giugno 2007

Verbale Incontro del 23.06.2007 - Villa Groggia

In apertura vengono fatte alcune osservazioni sulla mail di Laura, al proposito si osserva che il blog dovrebbe costituire la sede naturale dove presentare osservazioni, suggerimenti, critiche offrendole così all’attenzione collettiva e dove ,nel caso lo si ritenga opportuno, intervenire con emendamenti e integrazioni al verbale stesso, se non con interventi veri e propri in maniera tale da assicurare e garantire pluralità e partecipazione critica alle discussiooni del gruppo. Si ritiene comunque di rimandare la discussione sulle osservazioni di Laura in un'altra occasione, nella quale come da lei stessa garantito sarà presente.

FERNANDO concorda e si impegna a riprendere il discorso in futuro alla presenza di Laura, da subito però sottolinea che il verbale è effettivamente incompleto, come è stato osservato , ho cercato, dice, di "stenografare" alcuni interventi che sembravano avere "più interesse". Ricorda che non c'era una vera e propria discussione in corso su un unico argomento ma piuttosto la riunione si rivelava dominata da un susseguirsi di interventi "in libertà". Ho cercato, prosegue, di rispettare"fedelmente" l'andamento della discussione: è lecito e opportuno integrare discutere ed emendare il verbale. Perché, si chiede, è sorta polemica sulle cose sostenute da Laura? Sembrava non fosse più una libera discussione ma si fosse invece insinuata una pregiudiziale ideologica in qualche modo. Esemplifica: è opportuno e giusto che in questo gruppo siano tutti compagni? Non stiamo fondando un partito. Teme ci si sia un po’ bloccati sulla discussione di “grandi sistemi”; anziché concentrarsi su questioni parziali molti hanno sentito il limite dello “schierarsi” che risorgeva in tutti noi. Forse bisogna controllare passioni e simpatie e concentrarsi sulle persona che si ha davanti, questo in risposta a CRISTINA che in precedenza aveva invitato a rispettare e accogliere con attenzione la passione espressa nello scritto di Laura.

GIAMPIETRO bisogna proporsi come organismo che sa proporre e produrre qualcosa: anche sul piano personale bisogna concentrarsi ed esternare positività anziché negatività. E’ indispensabile sfuggire al rischio del gruppo che esprime conflittualità e contenzioso anziché aggregazione, Precisa che non si tratta di unanimismo: la passionalità è cosa importante ma deve garantire l’apertura all’altro, necessità perciò di regolamentazione. Il percorso deve essere garantito, chiaramente indicato e verificato rispettando tempi e sensibilità individuali per non entrare in rotta di collisione distruttiva. Richiama alla necessità di onestà intellettuale senza scordare che stiamo cercando originalità nella partecipazione e nell'agibilità politica. Abbiamo bisogno di alcune "regole della casa" che prevedano l'imprescindibilità di una discussione orientata e organizzata intorno a temi precisi.

CRISTINA ricorda che qualcuno ha dichiarato di voler partecipare azzerando il proprio pregresso vissuto politico; altri invece hanno esibito la propria storia. Deve essere comunque possibile rimanere insieme. Forse la mail di Laura può aprire la discussione.

MARIO COGLITORE la cultura di sinistra ha condotto a logiche di "schieramento" fine a se stesse. Bisogna invece costruire. Cattolici e destra “funzionano” e agiscono come gruppo. Fa alcuni riferimenti storici a destra e MSI volti a cogliere il valore della socialità tenuto in conto dalla destra e (pare di capire al verbalizzante che arbitrariamente conclude), sottovalutato dalla sinistra. Nella sinistra è carente una riflessione approfondita sul ruolo della borghesia italiana, prosegue infine introducendo la questione del “valori” e il rapporto con la sinistra

MARIA chiede spiegazioni a proposito del termine "valori" e la relazione tra il termine stesso e il rapporto tra destra e sinistra

MARIO sostiene che la destra ha saputo trasmettere valori condivisi.

GIAMPIETRO sostiene che vi è un ritorno del religioso che entra nella socialità in quanto la politica è fallita.

FERNANDO il fascismo è l’unico modello di società che in Italia c’è stato, per questo la destra riscuote consenso: prima del fascismo c’era la borghesia che poneva la questione delle regole. Bisogna pensare a qualcos’altro che tenga insieme le persone e che sia diverso dalla ideologia. Trovare la formulazione di regole”condivise” per ricostruire modelli e forme di “socialità”. Invita però a non impegnarsi su questioni storiche di spessore tale da richiedere preparazione specifica e preventiva.

GIAMPIETRO ricorda l’importanza delle questioni poste da Mario C. ma invita a ritornare all’o.d.g.

MARIO C. si dichiara d’accordo

GIAMPIETRO la scelta dei due temi da discutere oggi rimanda all’immediatezza: “scoasse” e pensioni. Volevo costruire, dice, due banchi di prova sia rispetto al decalogo sia rispetto al fatto se un pensiero e un'azione politica originale è immaginabile. Entrambe le questioni, nella loro immediatezza e apertura al futuro, pongono la questione della prospettiva e delle strategie che implicano. Come, ad esempio, proiettare l’azione politica sintetizzata dal tema delle pensioni in una solidarietà/scontro tra interessi generazionali? Come, sul tema dei rifiuti, enucleare la responsabilità individuale nella produzione di scoasse e, allo stesso tempo, mettere al centro lo scontro che si apre tra il proprio spazio privato – rifiuti personali- e lo spazio pubblico che tendo a riempire con le mie scoasse? Vi sono implicazioni di carattere ascendente e discendente, di valori, di pensiero e di misura con i valori. Se mi misuro con valori di destra: pensioni agli italiani: sì ,agli immigrati: no; analogamente, rifiuti in Italia no, all’estero sì. Allora come si pone il tema dell’uguaglianza nei conflitti generazionali? La rivendicazione verso l’alto è facile, verso il basso è più difficile. Chi discute delle pensioni oggi? I sindacati, gli occupati e i pensionati, quindi strati sociali che difendono in definitiva se stessi. Necessità invece di pensare diversamente, sgombrare i luoghi comuni sia dal primo che dal secondo tema. Pensioni: che si “tocchino” i 57 anni è di destra o no? Scoasse in fondamenta che significa? Dobbiamo sbloccare la mente nell’affrontare questi temi: se il gioco funziona allora troviamo nuove regole. E’ necessario essere coscienti che nella discussione ci si deve aprire a monte e a valle seguendo un metodo che cristallizzi un ordinato pensiero politico e una rigorosa applicazione pratica dei singoli temi.
Va distinto tra dimensione dell’interesse personale e quella generale.
La discussione deve essere libera, occorre pensare in modo diverso e cogliere le implicazioni; verificare oggettivamente le proposte che emergono. Ricorda come esempi di questioni pratiche da trattare ma le cui implicazioni sono connesse a grandi temi : le pensioni che si pagano con risorse del bilancio pubblico, l’invecchiamento della società, il lavoro usurante e la ricerca di criteri di definizione. Le nostre ipotesi di lavoro devono essere fondate su dati oggettivi. Dobbiamo essere capaci di formulare domande per “guidare” l’esperto; e poi, quando ci presenteremo alla cittadinanza, dovremo avere capacità di confronto e apertura alla dimensione pubblica.

MARIO C. osserva che il cittadino si sente ancora tale ma sono saltate le relazioni sociali

CLAUDIO le persone sono isolate guardano al proprio interesse personale, soffrono di una mancanza di socialità di relazioni di senso, come andare oltre l’interesse personale e ad esempio versare la spazzatura nei luoghi appositi si chiede

FERNANDO come superare il particolare? Ricorda che a Venezia la quantità di rifiuti prodotta dal turismo è enorme; questo è un fatto che non può essere trascurato quando si sottolinea l'importanza dell’intervento testimoniale; occorrono regole che vanno trasmesse e condivise. A scuola, ad esempio, i rifiuti vengono trattati in maniera totalmente indifferenziata......Introduce il tema della legalità, le illegalità vanno documentate e sanzionate. Ci deve essere vigilanza e sanzione conseguente.

MARIA l’organizzazione è importante, sostiene, quanto la contravvenzione; ricorda l’ordine di raccolta delle RSU che ha conosciuto quando abitava ad Anversa dove non si può buttare immondizia per strada se non una volta alla settimana; ci si occupa da sé delle proprie “scoasse”, il sistema funzionava in termini di autocontrollo.

LIA andrebbe proposta la raccolta differenziata da parte degli EE.LL. in primo luogo nei luoghi pubblici scuole, spiagge, invece ciò non avviene; in tal modo gli Enti Pubblici vengono meno ad una funzione che dovrebbe assumere un valore educativo.

GIAMPIETRO sogna una società dove non esista la multa; questa infatti implica l’esistenza di un soggetto esterno altro deputato ad intervenire nella repressione e sanzione e pertanto condannato a costruire, per reazione, omertà e solidarietà negativa. Invece si dovrebbe aspirare a produrre solidarietà sociale collettiva: questo è un disegno opposto. La priorità consiste nel ricostruire spazio pubblico liberato dalle scoasse, ripristinando il criterio della “vicinanza" che abbiamo perduto e che ci condanna a commettere atti di lesa socialità con la speranza di non essere sorpresi dai vicini. E’ la solidarietà territoriale che manca. Un dubbio: i cassonetti sono utili o invece concentrano merda nello spazio pubblico? Dove è finita la rete di solidarietà che si tesseva da rapporti di prossimità sociale, come avveniva nel passato? E ancora. Il sistema di raccolta dei rifiuti non può essere uguale per tutti i cittadini. Il rapporto con gli operatori turistici e la loro mole di scoasse abnorme va affrontato in termini di comunicazione; bisogna infatti intervenire nell’immediato e risolverlo nello spazio in cui ci si trova a vivere e operare. L’immediatezza e la necessità di costruire attorno alle scoasse un discorso sulla salute e sull'igiene in senso lato. Altro tema: il differenziato come elemento di controllo della produzione.

CRISTINA ricorda le difficoltà dell’educare all’ambiente a scuola così come ricorda che i primi cassonetti venivano gettati in canale o incendiati, ad opera di vandali. Nella scuola avviene la raccolta differenziata della carta.

ELENA la comunicazione è fondamentale come veicolo e strumento di controllo; il tema è stato anche divulgato e tratto da spettacoli comici promossi da VESTA

GIAMPIETRO è giusto che la domenica sia considerato giorno di straordinario per gli spazzini? In tal modo per evitare maggior carico di spesa la città non viene pulita. E’ ancora compatibile una simile organizzazione del lavoro in una società moderna e complessa? E’ possibile pensare di affrontare e nei limiti del praticabile risolvere la questione? Il tempo e i tempi sono cambiati.

SILVIA manteniamo i vantaggi della vecchia organizzazione del lavoro che garantisce un giorno di riposo, il cassonetto garantisce il singolo che non ha tempi coincidenti con quelli della raccolta programmata che presuppone la presenza in casa di qualcuno per accogliere lo spazzino, ma con gli immigrati che non differenziano come fare? E con i rifiuti speciali, informatici elettronici et similia? Che cosa prevedono le normative europee, ci siamo dentro noi? Devo riempirmi la casa di "cartucce" esaurite?

GIAMPIETRO ci sono esercenti che usano bicchieri e stoviglie di plastica per evitare il lavaggio.

MARIO SPINELLI maleducazione storica dei veneziani che buttano le scoasse in canale o le abbandonano tra le calli? La spazzatura una volta era prodotta in quantità ridotta inimmaginabile rispetto ad oggi e per di più era quasi interamente biodegradabile, materiale organico che ritornava in ciclo, ora la modernità ha cambiato radicalmente gli stili di vita. Ricorda il sistema di pulizia fognaria della città fondato sullo sfruttamento dei cicli naturali di marea. Non si dichiara d’accordo sulla sanzione ma invece propende per un sistema di incentivi che premi chi produce meno scoasse ; si riproduca questo sistema su larga scala. Discariche organizzate di materiali grandi ove sia possibile l’eventuale recupero e riutilizzo sociale da parte di singoli o in maniera economicamente organizzata come avviene nei mercatini sempre più diffusi e di moda.

BEPPE SANTILLO abbiamo bisogno di pratiche che dipendano da fantasia e creatività inventiva, perché non si reintroducono i vuoti a rendere come avviene in altri paesi? Ricorda i criteri di raccolta di Fiera di Primiero e la rigidità che li contraddistingue, non sempre le buone pratiche risolvono i problemi o inducono atteggiamenti virtuosi. Le scoasse qui non le vogliamo ma le spediamo invece al Sud dove la camorra organizza e gestisce il traffico dei rifiuti. Dovremmo ideare buone pratiche di quartiere organizzate con criteri di disciplina e autodisciplina. E’ fondamentale comunque educare al consumo e intervenire sulla produzione delle merci e sulla necessità della riciclabilità. Ricorda l’esigenza di allargare la riflessione e la discussione sul modello di sviluppo nonché della riduzione dei consumi stessi.

GIAMPIETRO Sostiene che non c’è un’unica alternativa di strategia ma al contrario si devono individuare più strategie e pluralità di interventi. La logica non deve essere quella della sanzione ma quella della riappropriazione del territorio e dell’autorganizzazione sociale della governabilità del territorio. Piattaforma di interscambio delle merci dismesse come luogo di altissima socialità. Per quanto riguarda la produzione di merci osserva che più produciamo senza lavoratori - i produttori - più viene meno il controllo sociale e la capacità di incidere sul processo. Si chiede inoltre quale intervento possiede il soggetto consumatore nell’entrare in rapporto con la produzione? Per quanto riguarda il packaging, osserva trattarsi di un settore che va benissimo, chi ha potere d’intervento in tale settore? Come si diventa capaci di interlocuzione con gli operatori dal momento che spesso la sola interlocuzione individuale non sortisce effetti ed è fonte di frustrazione?

Su alcune battute di LINO relative al riciclo dei contenitori di plastica e metallo che una volta sciacquati perdono la caratteristica di scoasse per ritornare semplici involucri vuoti, si scambiano alcune battute a proposito del possesso da parte di uomini politici di eventuali idee mirate ad affrontare la questione. E' così che viene nominato VELTRONI da parte di FERNANDO offrendo la possibilità a

GIAMPIETRO per dire che Roma è sporca e VELTRONI ne è responsabile; ha privilegiato la comunicazione e la spettacolarità; invita a riflettere sul fatto che il governo dei cambiamenti sembra essere sempre legato al profitto. I cittadini sono sempre depotenziati nei confronti dei meccanismi del mercato che si autoriproduce; sono condannati al ruolo di consumatori e non acquisiscono statuto di cittadinanza. E' ricercata sempre la soluzione tecnicamente migliore lasciando così totale autonomia al mercato; si deve invece ragionare su quello che è il sistema di accumulazione e produzione della ricchezza dell’attuale organizzazione dell’economia.

PAUSA

CLAUDIO suggerisce di proporre un’iniziativa pubblica dove presentare delle buone pratiche che dovremo individuare questo pomeriggio

MARIA afferma che forse vale la pena di spendere ancora del tempo per maturare una maggiore coesione del gruppo.

FERNANDO la prospettiva di organizzare un incontro tra un esperto di RSU e VESTA sono atti concreti come la raccolta del toner, le lampadine, ecc.

CRISTINA non pensa ad assemblee ma ad incontri più ufficiali nelle sedi pubbliche come potrebbe essere la sala S. Leonardo

MARIO C. in Trentino,ricorda, funziona il sistema di raccolta differenziata; paragonato al Veneto quale deve essere il rapporto con l' Ente Locale e come intervenire per interloquire con il governo locale? Anche in Emilia esistono iniziative interessanti. Noi dobbiamo imparare ad entrare in contraddittorio con la Municipalità. Se il Comune non “accetta” dobbiamo considerare la necessità di fare pressione. Bisogna essere capaci di “apprendere”: ci vuole expertise per diventare un interlocutore in possesso di conoscenza, dobbiamo anche imparare a comunicare e decidere cosa comunicare e con quali mezzi. Approfondire la questione degli stili di vita (da cambiare) in rapporto ad una società che abbiamo definito "bloccata". Quindi ribadisce la indispensabilità di raccogliere ed acquisire materiale con cui uscire in pubblico e farci conoscere. Perché suggerisce non occuparci della società della plastica?. FONDAMENTE deve proporre approfondimento e “uscire” pubblicamente.

CRISTINA considera un eventuale approccio polemico perdente; è più opportuno al contrario offrire proposte ed interloquire con domande e richieste di approfondimento volte a comprendere perché l’esistente è tale.

MARIA dice che se ci si presenta ad un contraddittorio bisogna essere preparati

CRISTINA si dichiara contro la coppia amico/nemico

GIAMPIETRO noi non dobbiamo diventare un gruppo che si occupa di problemi specifici, non dobbiamo cadere nella trappola di diventare un meccanismo frammentato, tecnico e determinista; dobbiamo invece collocarci in una dimensione di dialogo che non si arresta ma procede nell'individuare le questioni che hanno valenza politica e che in quanto tali vengono poste agli amministratori che le gestiscono tecnicamente secondo mandato dei cittadini. Noi dunque dobbiamo essere in grado di formulare domande comprensibili e che abbiano carattere problematizzante. Bisogna capire come ci si legittima nel porre le domande, vale a dire come si costruisce il soggetto che pone la domanda? E ancora, le domande che sono formulate sono degne di un soggetto politico?
La gente deve innanzitutto interrogarsi sulle proprie modalità e sui propri stili di vita. Prova a fornire un possibile elenco di domande:
è possibile una domenica pulita a Venezia?
è possibile eliminare i cassonetti?
è possibile ripristinare il vuoto a rendere?
Una volta potenziato il soggetto che pone le domande si va al confronto politico, evitando di scadere nella autoreferenzialità tecnica. Un sistema complesso non può essere gestito in termini tecnici.

MARIA osserva che non ci domandiamo più il perché del consumo di certi materiali piuttosto che di altri; non ci si domanda più il perché delle cose. Tutto nel mondo é in relazione ma non ci interroghiamo più su quali siano le relazioni: sembriamo averlo dimenticato. Ricorda l’importanza della gestione della tecnica e sulla comprensione degli effetti che da questa vengono indotti. Sintetizza: si può anche non saper fare ma occorre conoscere.

GIAMPIETRO precisa che in un sistema complesso la conoscenza non basta; se io non mi fido dell’altro, il sistema collassa. Dove non è possibile la conoscenza dell’intero processo tecnico, io non posso che affidarmi allo specialista e accettare ciò che mi viene detto dal momento che non ho capacità di giudizio e valutazione infinita; ciò che diventa fondamentale è quindi comprendere il tipo e la qualità di patto sociale che vige e che regola di conseguenza le relazioni di convivenza nella società.

MARIO S. trova la discussione interessante ma dichiara ora di essere più interessato a strategie sociali di trasformazione. Quali cambiamenti possiamo mettere in atto? quali piccoli atti capaci però di trasformazione più profonda e generale, in grado di aiutarci a conoscere e comprendere l’intero processo di produzione? Interessa di più la questione del profitto o la gestione politica dello stesso: come usarlo nel produrre ed innescare cambiamenti?

La discussione si accende interviene anche il verbalizzante che dichiara unilateralmente la chiusura del verbale per esaurimento delle proprie energie; si riserva comunque di inviare al più presto un intervento con alcune sue osservazioni relative al metodo di stesura del verbale insieme a qualche riflessione sulla discussione avvenuta.

L'incontro ha termine alle 17.00. I partecipanti concordano un informale programma di lavoro:
Durante la prossima riunione si cercherà di approfondire il tema "pensioni" applicando il metodo sperimentato sulla questione "rifiuti";
A settembre sarà organizzato un primo incontro con un esperto RSU per verificare e validare le domande emerse o che stanno emergendo sulla questione.
Un terzo tema sembra affiorare: la capacità di carico turistico di Venezia e i cambiamenti antropologici che questo modello urbano sta producendo.

martedì 26 giugno 2007

Prossima riunione 7 luglio 2007, ore 11.00

Cari tutti,
potremmo fare il prossimo incontro di Fondamente sabato 7 luglio ore 11.00 presso i locali di Villa Groggia- Cannaregio. Abbiamo infatti ipotizzato di riuscire a riunire un gruppetto di persone per un'ultima riunione prima delle vacanze estive, attendiamo una conferma di disponibilità da parte di tutti i presenti per proseguire.
Proposta di discussione per la prossima riunione di Fondamente (7 luglio, ore 11.00 - Villa Groggia): è apparso difficile affrontare compiutamente due argomenti in una giornata dunque si potrebbe riorganizzare il dibattito in una seconda fase tra le due questioni già note:
- Gestione dei rifiuti solidi urbani e partecipazione cittadina
- Riforma del sistema previdenziale e pensionistico
La prima potrebbe essere meglio e più specificatamente declinata in relazione alla specificità veneziana che consente analisi e sperimentazioni avanzate in relazione alla pressione turistica e all'uso saltuario della città.
La seconda questione è stata trascurata sabato scorso ma potrebbe essere trattata in coppia con la prima, cercando con più costanza il passaggio tra le questioni (da questioni di governo locale a una valenza più generale e di prospettiva) a cavallo dei temi socioculturali che emergono continuamente.
Il metodo di analisi/approfondimento ipotizzato nello scorso odg è stato più volte richiamato e confermato dalla discussione (siamo a cavallo tra il punto 1 e 2 ed abbiamo ipotizzato in settembre il primo confronto con esperti):
1. primo livello di discussione libera (con verbale e"cristallizzazione" di alcune idee-chiave);
2. ricerca di dati, analisi e documentazione di supporto;
3. formulazione di punti fermi e quesiti;
4. confronto con esperti, persone-chiave;
5. iniziativa pubblica di confronto con la cittadinanza.

Dalla discussione è emerso come sia opportuno svolgere a turno il ruolo di verbalizzatore (è una grande fatica) come quello di moderatore.

giovedì 14 giugno 2007

Incontro 23 giugno ore 11.00

Proposta di discussione per la prossima riunione di Fondamente (23 giugno, ore 11.00 - Villa Groggia).
Organizzare il dibattito attorno a due questioni "attuali" e "concrete":
  • Riforma del sistema previdenziale e pensionistico;
  • Gestione dei rifiuti solidi urbani e partecipazione cittadina.

La scelta dei due temi può essere così argomentata: si tratta di due temi "immediati" e controversi quanto a posizioni e luoghi comuni. Il primo ha una valenza più generale e di prospettiva; il secondo chiama in causa questioni di governo locale.



Rispetto al "decalogo" proposto nella prima e seconda riunione, l'idea è quella di analizzare queste due prime questioni come banco di prova per i temi seguenti:


  • Pensioni: 1) pubblico/privato; 2) diritti/privilegi; 5) giovani/anziani;
  • Rifiuti: 1) pubblico/privato; 6) fisco/spesa pubblica; 7) ambiente/crescita; 9) locale/globale.

Metodo di analisi/approfondimento:

  1. primo livello di discussione libera (con verbale e "cristallizzazione" di alcune idee-chiave);
  2. ricerca di dati, analisi e documentazione di supporto;
  3. formulazione di punti fermi e quesiti;
  4. confronto con esperti, persone-chiave;
  5. iniziativa pubblica di confronto con la cittadinanza














mercoledì 13 giugno 2007

Venezia, Parco di Villa Groggia, 9 giugno 2007, ore 11.

Secondo incontro del gruppo Fondamente

Sintesi degli interventi


Giampietro Pizzo chiede se ci sono commenti rispetto all’incontro precedente (Isola della Certosa, 26 giugno), anche riguardo la gestione della riunione e la scelta dei temi in discussione. Lamenta la mancanza di un documento di “capitalizzazione” di quanto emerso in quella occasione.

Fernando Marchiori trova inopportuna la scelta di allegare alla convocazione di questo secondo incontro degli appunti scritti a mano che evidentemente andavano elaborati e organizzati. Può dare l’impressione all’esterno che solo a ciò si sia ridotto il lungo confronto alla Certosa, dal quale invece sono emersi elementi di riflessione anche piuttosto alta. Si propone come verbalizzatore della presente riunione. Propone anche di dare un nome, sia pure provvisorio, al gruppo, anche per firmare collettivamente future convocazioni, eventuali documenti, ecc.

Silvia Raccampo Si era proposta per oggi la questione della società bloccata nel nostro Paese. Certo può essere anche un modo per reinterpretare il tema della complessità. Ma in generale si chiede se sia corretto condizionare la discussione con proposte di riflessione già predeterminate o non sia meglio piuttosto arrivarci in modo più aperto, per esempio attraverso scambi di opinioni in un blog.

Fernando chiede di riassumere i punti del “documento programmatico” del primo incontro, a beneficio dei nuovi partecipanti.

Giampietro rilegge la parte finale del documento, quella riguardante l’Italia come società bloccata, e poi anche l’elenco delle questioni chiave e delle dicotomie emerse, sottolineando l’importanza di scendere sempre nella concretezza, di riportarle anche a un vissuto concreto della realtà cittadina, per verificarne immediatamente la tenuta e per riportarle a una dimensione più pubblica.
Pubblico/privato: la privatizzazione anche a livello sociale è diventata normale; la sfera del pubblico viene comunemente percepita come residuale, negativa. La questione rimette in discussione molti nostri comportamenti privati.
Diritti/privilegi: estensione dei diritti, certo, ma attenzione alle contraddizioni, perché per esempio l’estensione dei “diritti universali dell’uomo” è oggi anche la giustificazione della guerra in Afghanistan o in Iraq. Dall’altre parte è evidente la crescita dei privilegi, accettati in maniera passiva da chi li subisce (normalità delle diseguaglianze).
Religione/laicità: dicotomia che permea nuovi comportamenti e scelte politiche, aprendo falde contraddittorie anche a sinistra. Quale possibilità di costruzione di una laicità autentica a fronte di una società sempre più multiculturale?
Welfare: si investe su persone, saperi, conoscenze? In Italia no. Si assiste invece a una decapitalizzazione del patrimonio pubblico, per esempio non si investe nella scuola pubblica, nell’università, nella ricerca…
Vecchi/ giovani: la spaccatura generazionale è un’altra declinazione del tema diritti/privilegi.
Fisco/spesa pubblica: doppia possibile lettura: necessità di investimento pubblico in strutture collettive e rapporto sempre più difficile tra Stato e contribuente.
Ambiente/crescita: dalla ricerca di uno sviluppo sostenibile alle teorie “antisviluppiste” che rifiutano la logica di uno sviluppo infinito, l’idea (anche di tanta sinistra) che la nostra società è in difficoltà semplicemente perché l’“economia non cresce”.
Lavoro/tempo libero: il valore del lavoro, quale il suo spazio/senso in una società complessa nella quale il tempo libero non si riduce a un tempo di “non lavoro”?
Locale/globale: limiti di una politica che cerca di dare risposte tutte sul piano locale, mentre sono le questioni più generali che bloccano scelte e possibilità. Rischio di schizofrenia tra il qui e ora e il globale.
Guerra/pace: indebolirsi di una cultura della pace mantenibile in un equilibrio di rapporti di forze e che non ha peso reale nella politica internazionale, mentre si è tornati a fare politica interna attraverso la guerra.
Erano poi emersi altri temi forti, per esempio quello della legalità. Ricorda infine lo sforzo di chiarificazione terminologica che ha accomunato molti interventi nel primo incontro, quasi a cercare un nuovo glossario minimo comune.

Yasser I punti appena ricordati comprendono praticamente tutto, ma non è così che si colma il vuoto tra la classe politica e la gente comune. Un linguaggio difficile e grandi analisi rischiano di essere degli ostacoli nella realizzazione di qualcosa di concreto. Consiglia di partire da una cosa piccola, a portata di mano, e una volta realizzata quella procedere un gradino alla volta.

Giampietro Il bisogno di azioni concrete è di tutti. Ma è possibile agire oggi efficacemente, produrre un cambiamento concreto se non si produce un cambiamento nel modo di pensare? Si tratta di provare a pensare diversamente il problema.

Yasser Porta la sua esperienza: da una grande discussione con alcuni amici è nato cinque anni fa un Gruppo di Acquisto Solidale: erano 7 persone, oggi il gruppo coinvolge oltre 50 famiglie e ha ottenuto l’attenzione del Comune, l’impegno anche delle istituzioni.

Alberta De Grenet Nell’altro incontro ci siamo chiesti: che ci facciamo qua? Come procediamo? Sono emerse varie ipotesi: impegnarsi in azioni dimostrative (raccogliamo le cartacce in campo); chiamare degli esperti a intervenire su temi specifici; continuare a incontrarci in luoghi aperti, pubblici. Comunque non abbiamo per ora lo scopo di fare qualcosa di pratico. Questo sembra delinearsi come un gruppo di riflessione teorica.

Claudio Peressin I temi generali prima presentati rischiano di non portare a nulla. Bisogna certo che dietro un’eventuale azione ci sia una riflessione, ma è anche necessario stare nelle cose che ci accadono intorno. Porta l’esempio di gruppi e comitati sorti a Venezia contro il Mose, contro le “grandi navi” o contro l’inquinamento provocato dal traffico della tangenziale di Mestre. Spesso non si tratta di persone sprovvedute, perché per es. discutere del traffico in tangenziale significa anche mettere in discussione un modello economico.

Silvia D’accordo. Stiamo cercando di smettere di pensarci separati. Affrancarci dalla separazione cartesiana tra mente e corpo. Per evitare che nell’affrontare i dieci temi generali si parli a vuoto, si tratta di sfaccettarli in tutta la loro complessità, di incarnarli, trovando gli strumenti non solo intellettuali per cambiare lo stato delle cose.

Fernando Dovremmo sempre tener conto che accanto a una crisi di rappresentanza della politica, c’è anche una questione che ha a che fare con la rappresentazione della politica. Il “teatrino” mediatico, il confronto dematerializzato, la realtà virtuale, la “personaggizzazione” della politica. Una deriva iniziata con il mutamento antropologico denunciato da Pasolini e che oggi si compie con il Grande Fratello. Stentiamo ad accorgerci di essere già in una “Second Life”. Siamo come dentro una bolla.

Yasser Ma io ho il bisogno di concludere qualcosa. Riflettere va bene, ma dopo?

Giampietro No alla vecchia politica: prima l’analisi e poi l’azione. L’azione è efficace se insieme è cambiamento del modo di pensare. La società è bloccata perché io sono bloccato. Siamo in una bolla ma abbiamo ancora la possibilità di sapere che siamo dentro questa bolla, la possibilità di pensare che c’è qualcosa d’altro fuori. E’ questo il disagio che blocca la nostra società. Cercare di pensare in un modo diverso è già un modo per uscirne.

Fernando Perché è proprio su questo piano che i poteri politici ed economici hanno lavorato su di noi in questi decenni, cioè sull’immaginario, sulla rappresentazione, ed è solo su questo piano che possiamo provare a rispondere. Intanto smascherandolo.

Lino Iannaccio Partire dalle piccole cose (bene l’esperienza dei GAS ecc.), ma poi ci vorrebbe la sintesi che porti alla rappresentanza politica: una volta era il Partito, ma oggi il partito è partito. Eppure un discorso più ampio ci vuole. Se lo specchio è la società, io determino me stesso in rapporto a quanto e come entro in rapporto con essa.
Credo che in questo Paese ci sia un problema di moralità. Bisogno di una assunzione di responsabilità in prima persona, per una diversa rappresentazione della società.
Dare risposta alle singole solitudini.
Difficoltà a entrare a fare politica in partiti e sindacati. E infatti stanno perdendo, “Ma adesso non voglio buttarla in politica.”
Nuovi strumenti. Anche il vecchio “intervento” non serve a niente. E’ diventato un genere, come i dibattiti televisivi, con una sua struttura preordinata, uno svolgimento retorico. Meglio la conversazione, il dialogo, dove posso smascherare chi non è onesto nel confronto, la strumentalizzazione, il controllo sociale.

Laura Gagliardi Esprime contentezza per la convocazione. Difficoltà da molto tempo a fare politica, solitudine. Bisogno non solo di appartenenza ideologica, ma anche di condivisione del sentire. E’ d’accordo sull’importanza del ricominciare a pensare. Non solo dire no, ma costruire un sì, attraverso una consapevolezza che nasce dal confronto. Sul fare è critica: non sempre il fare è veramente un fare, non sempre aggiunge qualcosa.
Rivendica la sua appartenenza alla sinistra, cosa che probabilmente accomuna i presenti.

Paola Tiozzo Ritorna su una questione già sviluppata e apprezzata nel primo incontro: non voglio collocarmi preventivamente, anzi: il mio essere qui nasce da un azzeramento delle mie appartenenze.

Fernando Ricorda come nel primo incontro sono stati messi in discussione gli stessi termini di destra e sinistra affrontando questioni concrete. Per es., riconoscere il merito è di destra o di sinistra? Si è anche deciso di incontrarsi in un parco o in un luogo pubblico proprio per evitare dei luoghi troppo connotati politicamente (per es. la sede di Rifondazione Comunista che pure era stata proposta).

Giampietro In una discussione aperta entrano processi di falsificazione, di messa in discussione, ma anche processi di validazione. Per quanto mi riguarda una dei motivi di questi confronti è la verifica dell’ipotesi del socialismo nella nostra società. E’ un’ipotesi che tiene? Non dobbiamo rispondere ripescando vecchie categorie, ma portando fino in fondo dei discorsi, sviluppando dei ragionamenti, come quello su diritti e privilegi, per esempio. Anche questa è un’azione: un’azione che modifica il nostro “stradario mentale”.

Mario Coglitore Completamente d’accordo con l’intervento di Paola. Anch’io sono qui perché ho fatto un percorso politico e temo di aver fatto un errore. Quello del PCI è stato il più devastante effetto politico nella storia della Repubblica. Ciò non vuol dire rinunciare a una cultura di sinistra, ma provare a rileggere criticamente un percorso. Bisogna che in questi confronti si rivaluti il termine “critica”. Critica e autocritica, altrimenti si fa solo scontro, e anch’io per molto tempo ho fatto solo critica senza mettermi in discussione. Ovviamente qui stiamo tra la psicologia e la terapia di gruppo…

Giampietro Ci sono i tempi e i ritmi della costruzione del nuovo. Non strutturare gli interventi, gli incontri, è un valore. Senza paura che si parli di sé. Rompere la separatezza tra pubblico e privato. Non si tratta più di delegare la sintesi al segretario di partito.

Laura Rivendica il suo essere di sinistra, il poter usare positivamente il termine “compagno”. Volontà di partire dal vissuto personale. Non azzera nulla della sua storia politica, perché lei non ha conosciuto le logiche di partito ma quelle del movimento, dentro il quale è stata attivamente per almeno quindici anni, dalle scuole superiori fino a dieci anni fa.

Claudio Uno dei motivi per cui la nostra società è bloccata e siamo come in una bolla, è il fatto che non solo siamo stati messi in quella bolla, ma ci siamo entrati noi stessi. Uno dei limiti della sinistra (del PCI) è stato quello di aver detto: noi siamo i migliori.
Invece, da quando si è rotto il movimento, gli è capitato di vivere esperienze di impegno con persone diversissime tra loro e non solo di sinistra, per esempio nel suo lavoro in un campo profughi durante la guerra in Bosnia.
Impasse: se cerco di fare qualcosa con quelli che la pensano come me, rischio di non riuscire a fare niente; se mi trovo a farle sto con persone che la pensano diversamente.

Giampietro Siamo parte di questa società, ne abbiamo dunque anche la fragilità, che oggi si coniuga in una maniera precisa: siamo disposti a metterci in discussione su alcune cose ma probabilmente non su tutte. Non laddove abbiamo degli interessi, per esempio professionali. Questa appartenenza a singoli interessi è il segno che la privatizzazione è avvenuta, ci ha pervasi, ne portiamo le cicatrici. Superare questa sclerosi di interessi, altrimenti il blocco della società è in noi, la fragilità della società è questa nostra schizofrenia.

Paola Se guardo la mia vita professionale le più grandi fregature e discriminazioni sono venute da persone di sinistra. Dunque posso parlare di me solo come individuo, azzerando appartenenze e provenienze ideologiche.

Silvia La posizione di Paola è corretta anche dal punto di vista sociologico. Precari, immigrati, vecchi, giovani, sono realtà che hanno completamente sconvolto le nostre categorie. Giampietro e Paola mi sembrano su prospettive opposte.

Fernando Da qualche parte si incrociano: da un lato si tratta di verificare la tenuta di valori ideali (nel caso di Giampietro il socialismo) scrostandone le gabbie e le storture ideologiche; dall’altro lo scrostarsi di dosso ogni appartenenza è condizione necessaria al recupero di una propria storia personale, di una identità.

Alberta A monte di tutto questo non c’è solo la storia della sinistra, ma proprio la storia italiana, la mancanza di unitarietà e di senso civico. Non si può non tenerne conto, anche sul piano della provenienza personale.

Mario Verificare se abbiamo un comune sentire.

Claudio Che cosa vuol dire per te “comune sentire”?

Mario Se condividiamo dei valori morali, per usare l’espressione di Lino, io preferisco dire “valori etici”, la parola “morale” mi sa troppo di Chiesa.

Cristina Toso Proviamo a vedere quali sono questi valori. Prendiamo un punto per cominciare, per esempio la meritocrazia che più volte è emersa nei discorsi anche l’altra volta.

Laura Partiamo da un nostro desiderio. Restando nella propria esperienza. Mi sono allontanata dalla politica, anche di genere, perché volevo partire da me. Ognuno parli come sa.

Lino Sentire non è ancora condivisione di valori. Io parlerei di sensibilità alla reciprocità. Si tratta di valorizzare l’individuo, non le idee. Il nostro stare qui, oggi, va in questa direzione.

Giampietro Come ridinamizzare la nostra società, come rimetterla in moto? Era questo il tema proposto per oggi. Proviamo ad affrontarlo. Qual è l’immagine che riusciamo a proiettare in avanti per ricostruire una dimensione di socialità?

Claudio Porta l’esempio di un gruppo di donne di Cannaregio che praticano forme di solidarietà reciproca organizzandosi spontaneamente.

Alberta Venezia è una città che agevola i rapporti sociali, anche le classi sociali sono molto mescolate. Dovremmo sfruttare queste caratteristiche anche per allargare il nostro gruppo, coinvolgendo persone diverse. Torna alla questione della semplicità di linguaggio che poneva Yasser: se volessimo davvero espanderci, dovremmo parlare all’esterno come ci si rivolge ai bambini.

Laura Esalta la pratica femminista di queste donne.

Giampietro Resta il fatto che queste cellule sane non riescono poi a cambiare un organismo sociale che è malato.

Lino Forse sono delle monadi.

Yasser Ecco che si parla partendo da fatti piccoli. Sarebbe bene che ognuno partisse da esperienze concrete, personali.

Giampietro Ma quell’esperienza non è un fossile? Non lo facevano anche le nostre nonne di badare vicendevolmente ai bambini ecc.?

Alexandra Geese Esistono relazioni piccole tra gruppi, legate alla scuola per es. Ma si fatica a metterle insieme. Quella veneziana è un’esperienza di amicizia allargata. Quanto alla società bloccata, bisogna tener conto che c’è un contesto economico mondiale, che è la mancanza di alternative al capitalismo, e c’è una dimensione italiana di stallo.

Giampietro Sappiamo portare all’esterno, espellere le negatività ma non le progettualità. Abbiamo smesso di credere alla positività della dimensione pubblica. Sul discorso del merito: con l’idea di meritocrazia si rischia di pensare di inserire una novità, mentre ci iscriviamo in una logica americana che non appartiene alla nostra storia. E poi non si risolve nella competizione delle individualità, nel tutti contro tutti? Del resto proprio questo è il prodotto di una società fragile, nella quale le mie paure personali le riorganizzo in una logica di microsocietà con chi mi è più vicino. Ma se sviluppiamo il ragionamento: le mamme che formano un gruppo a Cannaregio non risponde alla stessa logica di chi fa una lobby?


PAUSA


Fernando D’accordo con l’analisi sociologica di Giampietro sulla “lobby” delle mamme di Cannaregio. La dimensione politica di un’esperienza del genere è semmai quella delle “banche del tempo”, pubbliche (appunto) perciò aperte a tutti. Quanto alla meritocrazia, sarebbe meglio buttare questo termine e considerare semplicemente, accanto alla uguaglianza delle opportunità, anche la giustizia e la correttezza. L’insegnante o l’impiegato comunale che firmano la presenza e poi se ne vanno a casa, è giusto che abbiano lo stesso stipendio e le stesse garanzie di chi cerca di svolgere al meglio il proprio dovere? E’ giusto che nei concorsi universitari raccomandazioni e nepotismi prevalgano sempre più sui curricula e sui titoli? Succede così nel resto d’Europa?

Eugenio Parziale pone la questione delicatissima dei valutatori: chi stabilisce e certifica il merito?

Silvia Forse dovremmo riconsiderare i 10 temi iniziali, per esempio ponendo ancora il grande tema dell’Altro che sta a cuore a qualcuno di noi, che prima mi diceva, a proposito degli immigrati: è giusto che vengano qui? O non sarebbe più giusto che rimanessero (che permettessimo loro di rimanere) a casa loro? Dovrebbe votare Lega per questo? E’ una provocazione, naturalmente, ma pone un problema concreto.

Giampietro E’ un’altra declinazione della questione del blocco della società. Che ha distrutto e dimenticato ciò che era e non sa riorganizzarsi elaborando un progetto. La nostra società non è né carne né pesce.

Mario Che vuol dire né carne né pesce? E perché negli ultimi interventi (Fernando, Giampietro) esce finalmente il concetto di Europa? Quale Europa intendiamo, viste le difficoltà di integrazione ecc.?

Giampietro Esistono dei caratteri che sono nella storia dell’Europa, per es. l’organizzazione del lavoro, il riconoscimento dei diritti, ecc. Credo nell’appartenenza all’Europa. Meritocrazia, retorica del mercato, scarso ruolo del pubblico ecc. sono invece “valori” importati chiavi-in-mano da un altro contesto, quello americano. Prova ne sia il Partito Democratico che stanno importando in Italia, il fatto che non siano stati neppure capaci di trovare un nome diverso a un partito che nasce sul modello dell’omonimo americano.

Alexandra Ricorda la paura crescente, più o meno motivata, i continui richiami al problema della sicurezza. Ci si sente soli, vulnerabili. Non c’è più un’appartenenza di classe, e neppure professionale vista la necessità di cambiare più volte lavoro nel corso della vita. A ciò si aggiunge lo smantellamento dello stato sociale, in Italia come in Germania e nel resto d’Europa.

Lino Né carne né pesce? Da quando mi sono avvicinato alla politica la società italiana è sempre stata “in transizione” (era un tema caro ad Amendola). Transizione o schizofrenia?
La Costituzione prevede il riconoscimento del merito, ma noi no lo abbiamo considerato, e adesso importiamo il concetto di meritocrazia.
Ritrovare la dignità pubblica per poter tornare a fare politica. Se non entro in conflitto con ciò che è sporco, con ciò che “non va bene” (che sia nel condominio o nell’ambiente di lavoro) non sono degno di occuparmi di politica, perché mi nascondo nella mia bolla di individualità nella quale perseguo il mio particulare. Voglio proprio usare il termine “moralità”.

Giampietro In una società cesaropapista come la nostra la regola è lo scambio. La buona contabilità degli scambi è oggi la politica. Abbiamo cannibalizzato tutte le ipotesi di emendamento, tutti i progetti di riforma.

Stefania Marangoni Sulla questione “meritocratica”: il problema è non tanto chi valuta, come ha detto Eugenio, ma piuttosto i criteri di valutazione. E’ l’unicum italiano. In Europa gli altri Paesi hanno un progetto, dunque valutano. In Italia no. A scuola oggi lo vedi bene: chi ha un’idea di scuola, di educazione, sono per es. i ragazzi moldavi, mentre i nostri sono già “marci”, il valore che hanno introiettato è quello del telefonino.

Laura difende l’esperienza del gruppo femminista. Non si tratta di un gruppo nato per necessità o bisogno, ma per un riconoscimento. Ci siamo scelte, messe in relazione sul piano non solo intellettuale, e “ci autorizziamo”. Crede nelle relazioni politiche tra donne.

Giampietro Vuoi dire che c’è una società al femminile che si è salvata?

Laura Non si è salvata, si è costruita. C’è la politica e c’è la politica di genere.

Vari interventi (Fernando, Stefania, Giampietro, Silvia e altri) sono nettamente critici. Ricordano che la questione della critica di gender è già stata sollevata nel primo incontro, ma in termini di dispositivo dialettico da mettere in campo nelle relazioni, nell’analisi dei fenomeni sociali ecc. Qui la questione è posta in modo diverso, come una pratica che da una parte esclude, dall’altra si erge come modello. In sostanza: come può un’esperienza personale come questa (che nessuno mette in giudizio) intervenire sulla politica? Come può contribuire a costruire un “progetto di società”, che evidentemente è “per tutti”?

Laura ricorda che si tratta di esperienze diffusissime nel mondo. Sono realtà separate perché per ora non è facile portare questa pratica politica all’esterno, allargarla. Contesta che si possa considerare un pratica di gender quella “ideologica” indicata tra gli interventi precedenti, mentre qui si tratta della concretezza della sua vita.

Fernando Forse Laura confonde “teoria” con “ideologia”. E comunque può essere ben concreta (e né teorica né ideologica) la questione del gender applicata all’insegnamento, praticata nelle relazioni interpersonali quotidiane, nell’analisi dei fenomeni sociali o dei processi culturali. Mentre sembra davvero ideologica la posizione di Laura.

Seguono vari interventi di commento che si sovrappongono confusamente.

Lino Riappropriarsi di una decisionalità politica. Non voglio tornare a pratiche di sopravvivenza, a logiche di “movimento” che lascio ai giovani. Oggi, qui, parlando nel parco, abbiamo fatto politica, cioè abbiamo cercato di collegare le monadi isolate.

Giuseppe Santillo interviene sulla questione della “meritocrazia”: il merito di per sé non è garanzia di una società nuova.

Giampietro riassume il senso del “nuovo” per la politica. Un processo aperto, inserendosi nel quale si possono produrre certi esiti piuttosto che altri; onestà intellettuale, anche nell’attaccare i luoghi comuni. Nei luoghi comuni spesso si annidano gli aspetti peggiori dei nostri automatismi. E nel contempo essere “visionari”, perché ci vuole una visione più ampia delle cose. “Voglio affrontare il problema delle scoasse davanti a casa, ma lo voglio fare avendo ben chiaro il quadro complessivo e anche la mia appartenenza a un sistema di blocchi sociali che si va costituendo.” Poi ribadisce la necessità di andare fino in fondo anche su questioni che sembrano inattuali o che possono essere impopolari: patrimoniale (di cui nessuno parla più), pensioni (lo scalone, su cui attacca la posizione di Rifondazione; e a proposito di gender: è giusta l’età differenziata tra uomo e donna per la pensione?), reddito di cittadinanza…

Lino Misurarsi con il fenomeno del non-voto. Torna la questione della rappresentatività.

Eugenio Paradosso: proliferazione di liste e partiti, mentre sentiamo che nessuno ci rappresenta veramente.

Lidia Si presenta: è un’esponente trevigiana di Rifondazione. Ha ascoltato. Conferma la sensazione di alcuni: ci sono molti altri gruppi spontanei che si incontrano in giro per l’Italia. Ha osservato le dinamiche dei due gruppi presenti fin dal mattino nel parco: il nostro e quello di una serie di amici con numerosi bambini che hanno portato giochi e cibo. Noi ci siamo avvicinati, abbiamo cercato un contatto nella pausa del panino. Loro non hanno dimostrato interesse per quello che stavamo facendo. Loro sarebbero la società: bisogna trovare forme di coinvolgimento.

Giuseppe Superare la forma partitica. “Rifondazione è un partitino novecentesco, dove manca la democrazia e il rispetto per le individualità”. Si può pensare oggi a un grande partito della sinistra, in cui ci possano essere uomini e donne liberi, pluralità, gruppi? Sulle pratiche politiche delle donne: sono importanti ma non devono diventare ideologia, bisogna cercare di portarle in un contesto più grande.

Silvia Dovremmo cominciare a chiederci quali sono i nostri interlocutori, quali i compagni di strada.

Stefania Porta l’esempio dei comitati, per esempio quello contro le “grandi navi” a Venezia…

Silvia Spiega la sua reazione forte alle parole di Laura tornando a parlare di “ideologia” e proponendone una definizione. Ribadisce: il rifiuto di ogni atteggiamento mentale di tipo ideologico dovrebbe essere per noi un fondamentale.

Vari cenni d’assenso. Poi ancora strascichi di discussione e chiarimenti personali. Sono le ore 17. Si decide di dare un nome al gruppo: Fondamente. E di ritrovarsi sabato 23 giugno.