martedì 9 giugno 2009

Elezioni. Così non funziona

Leggendo i risultati elettorali di queste ore prendo atto del lento e profondo logoramento del processo democratico nel nostro Paese.
Il primo allarmante segnale è l’astensionismo che rende comunque falsato l'esito del voto.
Il secondo, e ancor più pericoloso elemento, che esce da questa tornata elettorale è la sostanziale impasse tra le due principali coalizioni. Nulla sembra potere davvero accadere con queste regole del gioco e con queste logiche di rappresentanza politica.
Molti sono ormai stanchi di questa “noia” politica. E molti altri ancora sembrano essersi arresi a un’impossibile evoluzione politica. Non è cosa da prendere sottogamba: qualcosa dovrà pur accadere nei prossimi mesi!
Questo qualcosa, altrove, in Europa e nel Mondo, sta accadendo. A guardare l’Italia invece, tutto sembra ancora “governabile”, e “governabili” sembrano essere le tre forme prevalenti di sentimento sociale: il rancore popolare leghista, l’egoismo berlusconiano e la pavidità democratica.
Del rancore leghista, territoriale e federalista, si è parlato a lungo. Sembra ormai quasi una sana e normale reazione. Ci avete preso in giro nell’organizzazione e gestione dello Stato? E allora, noi, non solo al Nord ma anche e inesorabilmente sempre più a Sud, diventiamo antistatalisti, regionalisti e localisti: cioè, semplicemente, pre-italiani.
Dell’egoismo berlusconiano, sciatto e cialtrone, voyeurista e, in fondo in fondo, banalmente ignorante, siamo impregnati tutti: di questo ci compiaciamo e, rassegnati, ci facciamo pure un po’ schifo.
Alla pavidità democratica – a tratti, francamente democristiana e, a tratti, semplicemente buonista, incerta e strutturalmente contradditoria – non riusciamo invece a rassegnarci. E’ insipida e senza futuro; ci pare inevitabile, come il tedio leopardiano. Ce l’abbiamo addosso, come un male di stagione di cui non riusciamo a liberarci.

Pensiamo davvero che un paese come il nostro – né meglio né peggio degli altri paesi europei – possa alimentarsi a lungo di questi umori?
Credo proprio di no.
E’ uno scenario che sembra già scritto, coltivato nel silenzio esteso di quanti in questi anni hanno abdicato alla Politica. Di quelli – e sono legioni – che al solo sentire la parola “politica” sentono montare l’urticaria. O di quegli altri – e sono una detestabile maggioranza silenziosa – che ti dicono che tanto non c’è niente da fare e che faresti meglio ad arrenderti anche tu – ultimo idiota – alla ineluttabile e semplice verità…
Ma il mio Candido interiore rilancia: è davvero impossibile e inutile immaginare uno scenario diverso, uno scenario che non metta macchinalmente in avanti il peggio?
Forse i nostri interrogativi sono parte integrante di antichi desideri frustrati; sono figli di un immaginario collettivo e individuale che non si vuole arrendere. Dentro c’è naturalmente di tutto. Ci sono alcune insistenze conservatrici, che guardano ossessivamente indietro; ci sono le velleità rivoluzionarie, banalmente nutrite di luoghi comuni, ma rese più degne dall’autentica rappresentazione dei mille problemi economici e sociali che le emergenze della crisi impongono al dibattito politico; e, infine, ci sono i molti ingenui intenti di guardare oltre, con un’avventata volontà di pensare in modo diverso al nostro comune futuro.
Questo è lo stato dell’arte della Politica e della Sinistra oggi.
Ma quello che fa più male è il non credere che questo stato delle cose si possa ancora modificare, emendare, sovvertire.
Lo dicono, purtroppo, gli sguardi – più che le parole – dei molti che ascoltano trascuratamente l’ultimo risultato elettorale; lo dice – se ce ne fosse bisogno - il pensiero scettico di chi non ha più voglia di attendere quell’alito minimo di novità e che dice, perentoriamente, che tutto è ormai accaduto. Lo sancisce, infine, il fare morto dei tanti, che si dichiarano di Sinistra e non hanno più voglia di “stare in società”.
Ecco perché, stasera, mi vengono a noia le percentuali elettorali.
Perché vorrei che la Politica tornasse ancora una volta a essere “discorso”. Un discorso che apre e che rende aperti.

Giampietro Pizzo