venerdì 11 luglio 2008

Un progetto per Venezia - Alcune riflessioni preliminari

Venezia è squilibrata e divergente. La politica delle specializzazioni territoriali per funzioni urbane si è rivelata disastrosa. Da un lato, la Venezia/Disneyland, soffocata da un carico turistico insostenibile e minata nella capacità stessa di produrre qualità della vita e senso all’abitare; dall’altro, la Terraferma, stretta fra un progetto di città metropolitana mai decollato e l’impossibilità di trovare una propria, autonoma e originale, modalità di vita sociale e urbana densa.

Venezia è una, non due città. Occorre riconoscere questa unità/unicità e lavorare per affermarla.
Il deficit infrastrutturale di collegamento è pesante e va sanato, pena una marginalizzazione complessiva; ma quello che rende quasi insolubile il dilemma tra le diverse opzioni tecniche di infrastrutturazione (vedi, ad esempio, la sublagunare o il Porto o, ancora, le reti ICT) è l’incapacità di rendere esplicite le scelte sociali e territoriali.
Occorre riaprire su questo un confronto ampio, democratico ed effettivo sul futuro della città.
Le ipotesi devono essere esplicitate e sottoposte a un controllo sociale ancor prima che politico, per misurarne appieno l’impatto sociale, economico e culturale.
Nel processo decisionale stesso si determineranno i futuri assetti di potere locale: se saranno ristretti, corporativi ed opachi, oppure aperti, democratici e trasparenti dipenderà in buona misura dal confronto/scontro fra due culture politiche e di governo territoriale che appaiono sempre più divergenti e confliggenti.

Le ragioni dell’economia non possono essere assolute ed autonome: questa ideologia territoriale va contrastata e rovesciata. Una buona economia rende possibile una dinamica sociale in grado di assumere le contraddizioni che si determinano al proprio interno, include e non esclude, valorizza, prima di tutto, il proprio capitale sociale.
Il centro storico deve tornare ad essere luogo del vivere, dell’abitare, del lavoro “normale” e moderno ad un tempo; Mestre e la Terraferma devono trovare nuovi baricentri: la logistica e la portualità possono essere un punto importante, così come la ricerca e l’innovazione, possono essere un “ponte” ideale per tutto il territorio lagunare.

Per questo non basta una politica di “contenimento”: contenimento del turismo e contenimento dell’esodo dal centro storico e dalle isole. Occorre una politica decisa e di attacco.
Occorre un obiettivo semplice, preciso, concreto: 50.000 abitanti in più in centro storico entro il 2020.

Il centro storico di Venezia è – e rischia di essere sempre più – demograficamente sottodimensionato: sottodimensionato rispetto al patrimonio immobiliare che esprime; sottodimensionato rispetto al ruolo che può giocare nel Nord-est; sottodimensionato rispetto all’infrastrutturazione esistente e potenziale (istituzioni pubbliche, aeroporto, università, etc..). Ma soprattutto sottodimensionato se si vuole ristabilire un rapporto meno drammaticamente impari con il livello di presenze turistiche attuali e tendenziali (20 milioni/anno).

Della crescita demografica del centro storico beneficerebbe tutto il territorio veneziano: in termini di servizi alla persona, di riqualificazione urbana, di infrastrutturazione ordinaria, di fiscalità e di risorse finanziarie in senso lato. Ma il primo e assoluto vantaggio riguarderebbe la dinamizzazione di talenti e di idee che questo nuovo flusso antropico potrebbe originare. Una dinamizzazione capace di creare opportunità e diritti non solo e non tanto per una ristretta creative class ma per tutti coloro che in questi anni hanno pagato un prezzo molto alto per il contemporaneo determinarsi, da un lato, di una drastica riduzione dell’economia produttiva in centro storico e in terraferma (operai e artigiani, in particolare) e, dall’altro, del trionfo dell’economia di rendita.

Una dinamizzazione che abbisogna non solo di una massa critica minima di popolazione residente ma anche di una rinnovata, efficace e sostenibile fluidità di movimento tra le diverse parti della città (centro storico, isole e terraferma).

Venezia città aperta, Venezia città dove vivere. E’ un messaggio politico che occorre produrre: un messaggio diretto ai territori italiani ma, ancor più, all’Europa e al Mondo.

Cinquantamila persone (artigiani, artisti, ricercatori, lavoratori immateriali, docenti, creativi, etc..) convinte che vivere a Venezia sia interessante, conveniente e fattibile.
E’ possibile dimostrare e costruire la percorribilità di queste declinazioni?
E’ possibile su questo costruire una piattaforma politica di governo della città?

L’obiettivo deve essere esplicito: dotarsi degli strumenti e creare le condizioni per rendere effettiva una abitabilità stabile (almeno quanto lo può concedere una crescente mobilità territoriale e internazionale), di qualità e socialmente equa.

Intraprendere questa strada significa, in primis, cambiare radicalmente gli equilibri nella geografia degli interessi e nella produzione del consenso. Va da sé che una Venezia come quella attuale, dove l’economia del turismo è monocratica, non consente alcun cambiamento rilevante.
Occorrono nuovi alleati dentro e fuori il centro storico di Venezia. Dentro il centro storico, rivolgendosi a quanti non vivono solo di turismo; in Terraferma, parlando a chi vorrebbe un’opportunità per tornare o per avere una diversa organizzazione delle funzioni che favorisca anche a Mestre e Marghera una migliore condizione del vivere e del lavorare. Fuori del territorio veneziano, per rendere attrattiva Venezia non solo in termini di idee e di talenti ma anche di capitali interessati all’economia non-turistica.