lunedì 28 gennaio 2008

Crisi di governo, crisi della Politica

Dobbiamo reagire. Non possiamo fare finta di nulla.

L'indecenza, la confusione, la perdita di senso dello Stato che percorre il Paese hanno raggiunto ormai il livello di guardia.
Le ripercussioni saranno pesantissime: non è solo la credibilità delle istituzioni ad essere in discussione, ma la solidità stessa della democrazia, come valore e come pratica sociale, che rischia di essere compromessa.

Se questa è la democrazia - pensano già in molti - che me ne faccio? Perché dovrei difenderla?
Quando ci si interroga così, quando si dubita che la democrazia possa essere altro e di più di una vuota e confusa retorica, allora vuol dire che l'involuzione autoritaria, che le spinte populiste hanno già lacerato pesantemente il tessuto sociale democratico di questo Paese.

Non basta più rassicurare, non è più sufficiente il richiamo alle responsabilità della politica perché questa si emendi e si auto-riformi. Lo sfascio culturale prima ancora che politico è andato troppo oltre per pensare a soluzioni tecniche, a misure ordinarie, a leggi elettorali di questo o quel segno.

La crisi della Politica è talmente radicale che occorre tornare alla radice. Occorre tornare là dove in questi anni si è rotto il legame tra rappresentato e rappresentante, quando il primo ha abdicato alla propria partecipazione e il secondo ha perso qualsiasi capacità di ascolto.
Se questo legame si è rotto, ed è purtroppo così, allora nulla è più come prima: la Democrazia è in pericolo e la Politica sta morendo.

Ognuno di noi in questo frangente storico ha responsabilità morali e civili altissime.
Nessuno può essere mero spettatore della crisi; nessuno può atteggiarsi a disincantato e cinico osservatore degli eventi; nessuno può dire "e io che cosa ci posso fare?".
In questa situazione davvero drammatica per il futuro del nostro Paese, chi sceglie di stare a guardare è complice del disastro. Non è un tempo in cui si possa guardare altrove, in cui le scelte personali e private possano prevalere sui doveri civici. La nostra è una responsabilità individuale ancor prima che collettiva.

Non possiamo, non dobbiamo delegare. Il "delegato" è contumace, la delega priva di contenuto. Prendiamone atto.

Dobbiamo reagire. Non saranno - lo sappiamo - le elezioni a rimettere sulla buona strada questa nostra sgangherata - ma ancora nostra! - Repubblica.
Nessun politico deve - d'ora in poi - poter decidere da solo. Occorre aprire un confronto serrato ma vero. Ovunque e subito.

Non possiamo, non vogliamo delegare. Basta assistere passivamente a "Porta a Porta", "Ballarò", "Matrix" o altri bene o male-meriti talk show! Quella non è democrazia.
Non può essere "La Repubblica" o "Il Corriere" a dire ciò che è bene e ciò che è male per il Paese: nessuno di noi ha mai scelto come portavoce né Ezio Mauro né Paolo Mieli.
L'opacità, la farraginosità, la banalità dei mass media rende semmai ancora più difficile il dibattito, il dialogo, l'impegno.

Alla grande illusione sulle magnifiche sorti e progressive della democrazia televisiva e mass-mediatica occorre rispondere ricreando luoghi veri, fisici, di incontro e di contatto politico.
Le piazze, le aule, i teatri, le sale pubbliche devono tornare a riempirsi. Prima che sia troppo tardi. La vendita culturale e materiale della cosa pubblica per una manciata di voti è l'infausto orizzonte che potrebbe attenderci. Una nuova evoluta forma di privatizzazione potrebbe essere in cantiere: dopo aver privatizzato l'economia, perché non farlo con la politica? A questo pensano i Montezemolo vecchi e nuovi, dentro e fuori Confindustria. Sarebbe davvero la fine della Democrazia: essere obbligati a scegliere tra un Manager Mediaset e un Manager FIAT!

Sul futuro nostro e dei nostri figli questo scenario rischia di pesare più di montagne di immondizia.

Dobbiamo reagire.

Giampietro Pizzo

venerdì 11 gennaio 2008

Chi siamo, cosa vogliamo

FONDAMENTE è un gruppo di cultura politica. Definirci "gruppo di cultura politica" è, a ben vedere, una dichiarazione d'intenti non ordinaria: anzi, è un'affermazione decisamente ambiziosa.
In un tempo in cui la politica è avvertita come lontana, come un guscio vuoto il cui compito precipuo è occultare interessi particolari e manipolare allegramente valori e opinioni, in un tempo come quello in cui ci è toccato vivere, volere mettere al centro la Politica - il suo essere "questione"  - non è certo facile.
Eppure la Politica è ora più che mai uno specchio della nostra condizione individuale e collettiva; essa dice la fragilità del nostro vivere in comunità, manifesta il disagio profondo delle nostre soggettività, rivela quanto sia spesso fatua l'esaltazione dell'individualità.
Vorremmo fare di FONDAMENTE un autentico luogo di elaborazione e dibattito.
Contribuire a mantenere aperto lo spazio della Politica - anzi nella maggiore parte dei casi si tratta semplicemente di riaprirlo - è la volontà che ha animato e anima i partecipanti a FONDAMENTE.
In questi primi mesi di attività siamo alla ricerca di un difficile equilibrio: uscire dalle stereotipate logiche di appartenenza senza per questo millantare una inutile quanto falsa equidistanza tra i  punti cardinali della geografia politica. Come è noto, si può difficilmente evitare di assumere una posizione precisa, e anche il fatto di non assumerla equivale sempre ad abbracciarne comunque una, quella del non esserci appunto, del non partecipare.
Ma non vogliamo neppure essere un ennesimo foro di discussione accademica, lontana, mediata e di improbabile efficacia.
Nel dissolversi delle tradizionali categorie politiche, anche il binomio teoria/prassi fatica a sopravvivere. Si tratta quindi di sperimentare, con molta pazienza e molta onestà intellettuale. 
Ricostruire i luoghi della politica significa innanzitutto ricostruire il linguaggio della politica: rinominare le cose, ridisegnare l'essenziale sintassi dell'agire politico.
Tutto questo abbisogna di diversi interlocutori - dentro e fuori dei movimenti, dentro e fuori dei partiti, dentro e fuori delle istituzioni; tutto questo significa moltiplicare al massimo grado le interlocuzioni - senza luoghi comuni, senza preconcetti, senza tabù.
Come ogni buona politica insegna, chiediamo a tutti - a coloro che vorranno confrontarsi con noi e a coloro che non lo vorranno fare - di parlare franco e di rendere esplicito il proprio punto di vista.
La buona politica è bene comune, che non lascia spazio né a facili scorciatoie né a discutibili ecumenismi.
Molti dicono che bisogna essere concreti. Noi vogliamo essere concreti, ma per farlo, per rendere misurabili nel qui e ora le analisi, gli argomenti, le posizioni, nessuno si può esimere dallo sforzo di comprensione dei processi globali che coinvolgono l'Italia e il Mondo. Per questo non bastano né i tecnici né le soluzioni tecniche.
Questa ricerca, questa volontà ha vincoli temporali strettissimi. E' l'urgenza dei problemi che non lascia margini, che non concede tregua.


FONDAMENTE
gruppo di cultura politica