mercoledì 16 dicembre 2009

Oltre gli aut-aut

Leggo sul Gazzettino di oggi (domenica 13/12/2009) l’annunciata posizione dei vertici del PD veneziano sui tre candidati sindaco. La scelta di Scaramuzza e Maggioni ricadrebbe su Orsoni, perché quello che conta è “un’alleanza al centro per fermare la deriva leghista”.
Alcune considerazioni in merito sembrano dovute.
Ognuno ha il sacrosanto diritto di dire quello che vuole, ma memoria e coerenza non dovrebbero essere buttate alle ortiche con troppa nonchalance.
Purtroppo, invece, la coerenza sembra essere merce ormai rara sul mercato politico veneziano.
Poche settimane fa, in un intervento (3 ottobre 2009) sulla stampa locale, Maggioni assicurava che il PD avrebbe aperto una stagione nuova di confronto con la società civile e promosso un dibattito sulle idee e sulle scelte fondamentali per il futuro di Venezia. Ora, mi chiedo, citando Maggioni: qual è il “progetto di città e di idea di governo del territorio” che Orsoni incarnerebbe? E’ questo il “metodo nuovo”, dove “non è il partito che arriva con il programma pronto da far votare alla città ma, al contrario, costruisce insieme agli altri soggetti il futuro della città dopo aver ascoltato ed essersi confrontato con tutte le istanze del territorio”?
La seconda considerazione riguarda proprio il metodo. La scelta interna corporis di un’alleanza con il centro e l’UDC, mettendo fuori la Sinistra, sarebbe giustificata dal bisogno di fermare la Lega.
Ecco, ben servito, l’ennesimo aut-aut che tarpa le ali a qualsiasi dibattito autentico: dovete scegliere l’UDC e Orsoni, perché il pericolo è la Lega; o con noi o contro di noi – recitano i coordinatori del PD.
Ma, mi domando, perché l’alternativa dovrebbe essere solo tra Lega e Orsoni? Perché il cambiamento – quello vero - non può essere praticabile in questa città?
Per chi crede in una politica alta, nuova e capace di parlare ai cittadini, l’alternativa non può essere tra la Lega e i poteri forti; non può essere tra il razzismo leghista e il sacco di Venezia perpretato da poche e induscusse lobbies organizzate.
Una nuova via deve essere trovata da chi ha a cuore il futuro di questa città. Per questo, basta con gli spauracchi e i facili slogan.

Giampietro Pizzo

sabato 5 dicembre 2009

Poche regole essenziali per una campagna elettorale che aiuti la Politica a non morire

L’economia italiana è in affanno e il nostro vivere insieme è in forte crisi. Occorre fare qualcosa; occorre farlo subito, cominciando da piccoli ma evidenti segnali. Proponiamo e garantiamo, per esempio, poche regole, per contribuire alla ricostruzione delle condizioni della politica e per un’effettiva partecipazione dei cittadini al dialogo politico.

I costi della politica
La prima regola è ridurre al massimo i costi della politica. Le campagne elettorali, si sa, costano molto, perché costa la pubblicità sui media, costa l’organizzazione dei convegni e delle iniziative pubbliche. Poniamo dunque un limite alle spese elettorali: ogni candidato sindaco si impegni a:
• non spendere per la propria campagna più di 50.000 euro;
• dichiarare ex-ante i propri sponsor e sostenitori elettorali.
Il risultato sarà duplice: ridurremo sensibilmente i costi della campagna elettorale e, soprattutto, metteremo tutti i candidati sullo stesso piano ai nastri di partenza. Per la democrazia non sarebbe un passaggio di poco conto.

L’accesso all’informazione
La seconda regola impegna i giornali e i media locali a produrre un dibattito positivo, aperto e chiaro. Ogni giornalista si impegni dunque a:
• dare spazio in modo adeguato a tutti i candidati e a tutte le forze politiche e associative che durante i prossimi mesi parteciperanno al dibattito elettorale;
• sospendere le pubblicità e le inserzioni a pagamento con finalità direttamente elettorali;
• ospitare tribune politiche aperte e strutturate (ad esempio, proponendo dibattiti tematici che consentano un confronto chiaro delle diverse posizioni e proposte programmatiche);
• ridurre al minimo i “si dice”, le analisi dietrologiche, le personalizzazioni;
• potenziare le sezioni dedicate alle lettere e gli spazi a disposizione di tutti i cittadini che vogliano intervenire nel dibattito cittadino.

I luoghi della politica
Il Comune identifichi per i tre mesi di campagna elettorale le sale cittadine che a Venezia, Mestre, Marghera e nelle altre municipalità comunali potranno ospitare gratuitamente le iniziative elettorali di tutti coloro che ne facciano richiesta. Ovviamente si dovrà rispettare una ordinaria programmazione nell’uso dei locali.
Alcuni luoghi pubblici aperti (campi, piazze e strade) saranno attrezzati per comizi e incontri pubblici senza alcun onere per i promotori.


Redde rationem - ovvero come renderanno conto gli eletti al loro elettorato
I programmi dei candidati e delle coalizioni saranno rese disponibili in una sezione del sito web del Comune di Venezia e archiviati come documenti ufficiali. Tali documenti saranno consultabili durante tutto il periodo amministrativo 2010-2015 affinché ogni cittadino possa verificare la corrispondenza tra quanto annunciato e quanto realizzato in caso di vittoria del candidato e della coalizione proposta.

Altre regole potrebbero essere utilmente aggiunte. Ma questo potrebbe essere già un passo interessante.

Chiediamo ai candidati, ai giornali e all’Amministrazione uscente di sottoscrivere queste quattro regole.


Giampietro Pizzo
FONDAMENTE
Gruppo di cultura politica

sabato 3 ottobre 2009

Il metodo fa la differenza

Il documento programmatico “Venezia metropoli sostenibile” presentato pubblicamente sabato scorso ha messo in fibrillazione più di un partito politico. Qualcuno sembra preoccupato per il carattere trasversale della proposta, qualcun altro perché con questa iniziativa – si dice – si mette in discussione il primato dei partiti nell'avanzare autonome piattaforme politiche.
Io credo invece che entrambi questi caratteri – trasversalità e autonomia dell'iniziativa politica – debbano essere accolti con favore, perché costituiscono novità sostanziali nel panorama politico e istituzionale veneziano.
Cominciamo dall'eterogeneità dei promotori e degli aderenti a questa proposta. Si tratta – è vero – di persone molto diverse quanto a storia politica, a profilo professionale e ad età anagrafica. Alcuni hanno fatto o fanno attività politica, dentro e fuori dei partiti; altri hanno partecipato negli ultimi anni alla vita associativa cittadina. Se davvero si vuole rimettere in moto un discorso politico, trasparente, positivo e dinamico, questo carattere di biodiversità costituisce un valore, non certo un difetto. A chi dice che tutto questo aumenta il grado di confusione, vale la pena ribattere che la confusione la creano coloro che ogni giorno alimentano il gossip cittadino riempiendo i giornali di vuote discussioni o aggiungendo un ennesimo nome alla lunga lista del toto-sindaco.
Quanto all’autonomia di questa iniziativa, un primo risultato è già stato raggiunto: ha provocato una forte accelerazione alla discussione interna alle segreterie dei partiti e sparigliato le carte dei notabili e degli “influenti” nostrani.
Vale la pena ricordare, a chi purtroppo ha dimenticato cosa deve essere la politica, che la società civile è di per sé autonoma: se questa si rende conto che l'apparato dei partiti è dormiente e povero di proposta politica, non può abdicare alle sue responsabilità ma deve prendere l’iniziativa. Per questo, stimolare un rinnovato dialogo, anche all'interno dei partiti, è una prerogativa irrinunciabile per una società politica viva.
Perché qualcuno dovrebbe averne paura? Perché non si dovrebbe accettare un dibattito aperto ma serrato, diretto ma civile, in grado di leggere con occhi nuovi la società veneziana, i suoi bisogni e le sue sfide?
Con la presentazione di questo documento, è stato proposto un percorso di discussione che chiama al contributo di tutti – partiti, associazioni e individui – per verificare se una sintesi di qualità è producibile, nonostante e contro le lobbies organizzate e gli interessi conservatori.
Quello che conta è la discussione sulle idee, sulle soluzioni, sulle fattibilità e sulla coerenza di quanto contenuto in questa proposta. E' un punto di inizio non di arrivo; molto può essere emendato, integrato, migliorato. Chiamiamo tutti a partecipare a questo fatto politico.
La novità di questo metodo deve però essere gelosamente custodita. E allora, per rispetto dei molti che hanno aderito, non si dica continuamente che sono i “grandi vecchi” a manovrare la nave, come se i più fossero solo degli utili idioti disposti ad essere massa di manovra delle strategie di pochi consumati strateghi. Certo, chi è convinto che la politica non sia altro che l'arte del manovrare, condendo astutamente il tutto con una buona dose di retorica, non può neppure concepire che forme nuove di partecipazione e di elaborazione politica possano apparire e consolidarsi.
Sia chiaro: vogliamo che nei prossimi mesi questo sia un dibattito davvero aperto, e non un semplice escamotage per strappare un briciolo di potere di negoziazione alle segreterie di partito e agli apparati di sempre.
Per questo occorre segnare con chiarezza chi sono i veri interlocutori di questa proposta. Vogliamo rivolgerci innanzitutto a tutti quei cittadini che in questi anni hanno abdicato alla propria voce sociale e politica. In primis, ai giovani e a quanti tra loro che, non avendo mai sperimentato luoghi pubblici di dibattito e confronto, non credono che si possano riaprire autentici spazi di democrazia. Ci rivolgiamo ai “residenti non residenti”: cioè a coloro che in questa città vivono, lavorano, studiano; ci rivolgiamo ai senza voto, ai migranti, che contribuiscono a creare ricchezza ma sembrano pressoché invisibili.
Per parlare con i molti e diversi pezzi della società veneziana occorrono forme e linguaggi nuovi. Non bastano i giornali e non bastano le assemblee pubbliche e gli incontri formali. Bisogna poter mettere in campo strumenti di comunicazione e di incontro meno lontani e più diretti; bisogna ritrovare e far ritrovare la passione della politica; bisogna parlare non solo agli interessi ma anche ai sogni e ai desideri delle persone.
Questa è politica cittadina, altrimenti rimane solo la cinica contabilità delle corporazioni e degli interessi personali di chi si occupa della cosa pubblica.
Venezia metropoli sostenibile vuole assumere questa sfida.
Se riusciremo a interpretare la domanda di nuova politica che viene dalle molte comunità e culture cittadine, se sapremo rendere libero, aperto e intelligente il dibattito politico, allora le elezioni comunali del 2010 rappresenteranno davvero un appuntamento di novità.
Allora anche i partiti e i politici di professione non potranno fare finta di niente e uno scenario inedito potrà aprirsi. Il progetto politico troverà naturalmente la propria strada: la definizione delle alleanze; il rapporto tra i partiti organizzati e i movimenti associativi; il candidato sindaco inteso non come dominus ma come garante del programma, e supportato da una squadra in grado di interpretare competenze, sensibilità e culture diverse e complementari.
Venezia può tornare ad essere un autentico laboratorio politico, perché la sua storia e vitalità non si possono esaurire nella sterile riproduzione delle attuali forme politiche. Queste pratiche sono ormai logore e improponibili.
Per questo la partecipazione politica deve essere effettiva e senza pregiudizi, senza retorica né luoghi comuni, senza deleghe e senza capibastone. Provare in questo momento non costa nulla ma può dare interessanti risultati.


Giampietro Pizzo

martedì 21 luglio 2009

Per una nuova politica cittadina. Ricominciamo dal metodo

Con le elezioni provinciali alle spalle, a Venezia si guarda ora alle comunali del 2010. Un periodo relativamente breve ci separa da quella importante scadenza elettorale – poco più di sei mesi.
A sentire i commenti di chi è andato a votare poche settimane fa e, ancor più, di coloro che le urne le hanno volutamente disertate, si registra uno scetticismo e una disaffezione preoccupante.
La reazione più immediata potrebbe essere: come dare torto agli scettici, ai giovani che di politica non ne vogliono sentir parlare, ai molti che preferiscono dedicarsi a questioni sociali e culturali specifiche e immediate? Come non comprendere che in quel rifiuto ci sono mille buone ragioni per fare altro, per non “sporcarsi” con la politica politicante?
Intanto è partito – già stanco e frusto – il “totosindaco”: decine di nomi di possibili candidati, annunciati sui giornali o sapientemente sussurrati dagli “addetti ai lavori”; nomi che dureranno, come le falene notturne, poche ore tra il tramonto e l’alba.
Come deve essere il candidato ideale? Come bisogna sceglierlo? Sono i partiti che devono esprimere le indicazioni? E poi, candidati di partito o di coalizione? E Cacciari, che cosa farà? E Brunetta?
Insomma, come dare torto agli scettici e ai disamorati della politica: quando lo spettacolo è brutto e di cattiva qualità, perché mai si dovrebbe andare allo spettacolo? E poi – domanda per nulla retorica ma sinceramente ingenua - perché sempre e solo spettatori? La politica non è – o dovrebbe essere – prima di tutto partecipazione?
E’ possibile voltare pagina e rendere credibile un’azione politica cittadina degna di questo nome? O è troppo tardi per recuperare le intelligenze, gli entusiasmi, la passione di coloro che vogliono vivere in una società aperta, civile, capace di guardare avanti senza rinserrarsi – con spirito sucida – negli equilibri gretti e piccini degli interessi di gruppo o nella disperante logica dello “speriamo che me la cavo”?
Se uno spazio esiste ancora , se una porta – sia pure molto stretta – è percepibile, allora questa speranza ha a che fare innanzitutto con il metodo con cui si lavorerà, si discuterà, si deciderà: insomma dipenderà dal modo in cui si farà politica nei prossimi mesi.
Iniziamo dalla trasparenza. Non è possibile che tutto si decida sempre e comunque altrove. Non è possibile che non sia identificabile un foro, un luogo fisico e simbolico di discussione in cui ognuno possa proporre, criticare e prendere posizione.
Perché questo accada abbiamo bisogno di un’azione cittadina ampia e aperta: capace di intercettare i segnali più autentici del tessuto sociale e territoriale; desiderosa di far dialogare e costruire un vero discorso politico. Per questo occorre che i partiti facciano un passo indietro; occorre che i giornali siano disponibili ad ascoltare tutti ( e non solo i soliti noti); occorre che le associazioni siano meno timide e prudenti; occorre che gli individui abbiano coraggio e onestà nel prendere posizione e nel ragionare di politica.
Iniziamo dalle idee e dalle proposte, perché il contenuto deve stare al centro della Venezia che cambia. C’è tempo per il “totosindaco”; non c’è fretta nel personalizzare la scelta che ci troveremo di fronte nelle urne a marzo del 2010. Senza un progetto, senza una bozza di programma, a che serve sapere chi sarà il candidato sindaco? A meno che i contenuti non contino nulla, e la soluzione dei problemi debba essere – per imperscrutabili ragioni - ciecamente delegata al “salvatore della Patria” di turno – di destra o di sinistra che sia.
Discutere di priorità e di compatibilità, di casa e di diritti, di pubblico e di privato, di etica della politica, di partecipazione e di ambiente: queste sono le questioni che appassionano, questi sono i temi che contano nella nostra vita. E allora, di questo, non di altro, si deve innanzitutto parlare.
Occorre farlo in modo aperto, costruttivo, competente, onesto. Sono i partiti in grado di assumere questa sfida? Sono i cittadini in grado di imporla come condizione ineludibile? Sono le associazioni interessate a stare su questo terreno?
Se sì, il terzo carattere del metodo nuovo riguarda la capacità di ascoltare le ragioni e le analisi di tutti, mettendo da parte frusti luoghi comuni e pregiudizi, e disinnescando la nefasta dinamica delle cordate e delle clientele. La città prima di tutto. La qualità della politica prima di tutto.
Non che le donne e gli uomini che fanno politica non siano importanti, ma la storia ci insegna che la ricerca dell’”Uomo della novità” è, nel migliore dei casi, ricerca sciocca; è autoritaria e antidemocratica, nel peggiore degli scenari.
Politica e democrazia non possono vivere senza una partecipazione attiva e collegiale che obblighi a pensare al bene comune e a riconoscere che nessuno ha futuro se non si occupa del prossimo. Vecchia e logora retorica anche questa? Beh, se così fosse, allora non avremo speranza di cambiamento e la piazza cittadina sarà facile preda dei lupi e delle iene che nella notte della politica hanno sempre buon gioco.

Giampietro Pizzo

martedì 9 giugno 2009

Elezioni. Così non funziona

Leggendo i risultati elettorali di queste ore prendo atto del lento e profondo logoramento del processo democratico nel nostro Paese.
Il primo allarmante segnale è l’astensionismo che rende comunque falsato l'esito del voto.
Il secondo, e ancor più pericoloso elemento, che esce da questa tornata elettorale è la sostanziale impasse tra le due principali coalizioni. Nulla sembra potere davvero accadere con queste regole del gioco e con queste logiche di rappresentanza politica.
Molti sono ormai stanchi di questa “noia” politica. E molti altri ancora sembrano essersi arresi a un’impossibile evoluzione politica. Non è cosa da prendere sottogamba: qualcosa dovrà pur accadere nei prossimi mesi!
Questo qualcosa, altrove, in Europa e nel Mondo, sta accadendo. A guardare l’Italia invece, tutto sembra ancora “governabile”, e “governabili” sembrano essere le tre forme prevalenti di sentimento sociale: il rancore popolare leghista, l’egoismo berlusconiano e la pavidità democratica.
Del rancore leghista, territoriale e federalista, si è parlato a lungo. Sembra ormai quasi una sana e normale reazione. Ci avete preso in giro nell’organizzazione e gestione dello Stato? E allora, noi, non solo al Nord ma anche e inesorabilmente sempre più a Sud, diventiamo antistatalisti, regionalisti e localisti: cioè, semplicemente, pre-italiani.
Dell’egoismo berlusconiano, sciatto e cialtrone, voyeurista e, in fondo in fondo, banalmente ignorante, siamo impregnati tutti: di questo ci compiaciamo e, rassegnati, ci facciamo pure un po’ schifo.
Alla pavidità democratica – a tratti, francamente democristiana e, a tratti, semplicemente buonista, incerta e strutturalmente contradditoria – non riusciamo invece a rassegnarci. E’ insipida e senza futuro; ci pare inevitabile, come il tedio leopardiano. Ce l’abbiamo addosso, come un male di stagione di cui non riusciamo a liberarci.

Pensiamo davvero che un paese come il nostro – né meglio né peggio degli altri paesi europei – possa alimentarsi a lungo di questi umori?
Credo proprio di no.
E’ uno scenario che sembra già scritto, coltivato nel silenzio esteso di quanti in questi anni hanno abdicato alla Politica. Di quelli – e sono legioni – che al solo sentire la parola “politica” sentono montare l’urticaria. O di quegli altri – e sono una detestabile maggioranza silenziosa – che ti dicono che tanto non c’è niente da fare e che faresti meglio ad arrenderti anche tu – ultimo idiota – alla ineluttabile e semplice verità…
Ma il mio Candido interiore rilancia: è davvero impossibile e inutile immaginare uno scenario diverso, uno scenario che non metta macchinalmente in avanti il peggio?
Forse i nostri interrogativi sono parte integrante di antichi desideri frustrati; sono figli di un immaginario collettivo e individuale che non si vuole arrendere. Dentro c’è naturalmente di tutto. Ci sono alcune insistenze conservatrici, che guardano ossessivamente indietro; ci sono le velleità rivoluzionarie, banalmente nutrite di luoghi comuni, ma rese più degne dall’autentica rappresentazione dei mille problemi economici e sociali che le emergenze della crisi impongono al dibattito politico; e, infine, ci sono i molti ingenui intenti di guardare oltre, con un’avventata volontà di pensare in modo diverso al nostro comune futuro.
Questo è lo stato dell’arte della Politica e della Sinistra oggi.
Ma quello che fa più male è il non credere che questo stato delle cose si possa ancora modificare, emendare, sovvertire.
Lo dicono, purtroppo, gli sguardi – più che le parole – dei molti che ascoltano trascuratamente l’ultimo risultato elettorale; lo dice – se ce ne fosse bisogno - il pensiero scettico di chi non ha più voglia di attendere quell’alito minimo di novità e che dice, perentoriamente, che tutto è ormai accaduto. Lo sancisce, infine, il fare morto dei tanti, che si dichiarano di Sinistra e non hanno più voglia di “stare in società”.
Ecco perché, stasera, mi vengono a noia le percentuali elettorali.
Perché vorrei che la Politica tornasse ancora una volta a essere “discorso”. Un discorso che apre e che rende aperti.

Giampietro Pizzo

sabato 7 marzo 2009

Per una Politica vera. Per una Sinistra libera.

Viviamo tempi straordinari, non possiamo essere ordinari.
Molti si sentono soli, incerti, senza aiuto: occorre un aiuto, un pensiero, un progetto.
E’ questo il tempo della Politica. Il tempo di una Politica che sappia dimostrare, davvero, ad ognuno di noi, perché è cosi utile, necessario, improrogabile una Politica vera.
Non nuova, non miracolosa, ma, semplicemente, una Politica vera.
Stiamo in una società, non stiamo nella giungla. Allora, se essere comunità non è una parola vuota, è tempo – questo, non un altro – perché la Polis si manifesti.
Prima era la diffidenza, il disincanto, il cinismo. Ora, quando l’incertezza si fa bruciante, quando si fanno i conti – in senso letterale, guardandosi negli occhi e capendo qual è il margine residuo di sicurezza economica -, allora non si può più giocare, né alla Rivoluzione né al Riformismo.
Bisogna essere seri e dire a noi stessi, ai nostri figli, al nostro amico, che non è più tempo di fingere, e che, davvero, nessuno si salva da solo.
Ma nessuno si salva neppure con il solo stare contro qualcuno – né contro il migrante, né contro lo Stato, né contro il Padrone.
Tutto è passato, perché tutto è diverso.
Proviamo allora a pensare, davvero, che cosa è possibile fare.
Qualcuno continua a ripeterci che tutti i mali vengono dalla perduta fiducia: sfiducia nei mercati, nel futuro, in noi stessi. Vero? Forse sì, e forse no.
Ma la fiducia si perde o si acquista per qualche valida ragione, non perché siamo degli sciocchi o degli illusi. I “padroni del vapore” – dell’Economia come della Macchina Pubblica – hanno illuso e disilluso, ad abundantiam!!
E’ tempo di riprendere la vera Politica. Ma che cos’è una Politica vera?
E’ una Politica che dice le cose come sono, che non nasconde, che non illude; e che non dice: “non possiamo fare nulla, perché non abbiamo risorse….”.
Perché se la Politica – o meglio i politici – dicono che nulla possono fare, allora è già da molto che avrebbero dovuto togliersi di mezzo. Politica è decisione; Politica è fare, Politica è potere!
Le cose, oggi, sono molto più semplici di quanto si possa immaginare. E questo nonostante le cose siano terribilmente complicate.
Per esempio? Per esempio, la finanza.
Centinaia di migliaia di cassintegrati; centinaia di migliaia di precari a rischio licenziamento; milioni di famiglie con enormi problemi di sussistenza. E i politici come rispondono? “Non possiamo fare nulla, siamo vincolati dal fatto che tutti siamo “poveri”, senza risorse. La crisi tocca lo Stato come le famiglie”.
Falso. Falso! Idiozie. Idiozie!!
Costoro vivono – con i loro privilegi e le loro idiozie – nel secolo passato. Non leggono neppure i giornali: Barack Obama e l’amministrazione americana – che governa il paese più potente e più indebitato al mondo – hanno deciso che la spesa pubblica non poteva sottostare ad alcuna regola di bilancio!
I nostri governanti – e i nostri amministratori locali – non si sono accorti che il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità non esistono più e che ragionare come se l’inflazione fosse al 4% e il risparmio delle famiglie fosse prevalentemente assorbito dagli investitori privati – imprese e banche, per esempio – è come se ci si fosse addormentati nel bosco incantato; oppure come se si fosse stati colpiti da repentina demenza senile (più probabile questa seconda evenienza).
E’ tempo di svegliarsi. Basta con le inerzie o le finzioni; non possiamo più restare in un mondo che non c’è più.
Qualcuno, logicamente, ha ancora interesse a ragionare così: la Destra, ad esempio.
Quella Destra che non vorrebbe proprio che il Welfare fosse ricostruito, che il Lavoro avesse dignità, che il Territorio fosse un bene pubblico, protetto dal saccheggio del primo Berlusca di passaggio.
Ma, scusate, all’opposto: qual è l’interesse della povera gente, dei precari, dei disoccupati, dei senza casa e dei senza assistenza? Beh, per quella parte di società – cioè per quello che un tempo era e dovrebbe ancora essere il popolo della Sinistra – non vi è alcuna ragione per esitare, per restare nel mondo di ieri. Non vi è alcuna giustificazione per non invertire immediatamente rotta, per non ritrovare un diverso e preesistente paradigma. Keynes, do you rembember?
Per rilanciare subito un grande piano di spesa pubblica, per i precari, per i giovani, per i “laissés pour compte” .
Finanziato come? – diranno subito le anime belle.
Indebitando lo Stato! Sì, proprio così perché i risparmiatori, le famiglie italiane oggi vogliono poter finanziare il pubblico perché le cosiddette opportunità di investimento private non esistono più.
Chi ieri comprava titoli Fiat o Telecom o Unicredit, oggi cerca un’alternativa. Quell’alternativa si chiama Pubblico ed è – a prova di bomba – il miglior investimento disponibile (perché, tra l’altro, con una copertura sovrana).
Ma - aggiungo io - il Pubblico, non si chiama solo Stato nazionale, ma anche Regione e Comune.
Al “vecchio” Cacciari che elemosina poche lire alla vecchia e consunta Coca Cola, diciamo: svegliati!, ci sono i cittadini che possono finanziare il Comune e lo possono e vogliono fare se tu ti decidi a emettere dei “Cacciari Bond”, prima e meglio dei “Tremonti Bond” che saranno invece ad uso delle solite note Banche italiane.
Delirio, follia? No, una proposta di Sinistra, di una Sinistra libera da lacci e lacciuoli e da preconcetti ammuffiti; insomma una proposta di una Sinistra Libera (tout court)!


Giampietro Pizzo