venerdì 8 marzo 2013

Nell'occhio del ciclone

Come sempre lucida e ficcante l'analisi di Marco Revelli sul Manifesto del 5 marzo. Dopo il voto, la geografica politica è saltata, la logica delle alleanze appare senza senso, eclatante il vuoto istituzionale e governativo, la fine dei partiti ormai è evidente, insomma tutto ha subito un'enorme accelerazione, un rivolgimento di cui fatichiamo ancora a misurare la portata. Eppure quanto sta accadendo segnerà la nostra vita collettiva nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Gli unici che sembrano non rendersene conto sono proprio quei politici e soi-disant "dirigenti" di partito che, come chi sta nell'occhio del ciclone, non si accorgono di nulla o si illudono che si tratti di un ordinario temporale estivo. Si accorgeranno presto che così non è. Io credo che la tempesta politica e culturale in atto sia salutare - certo pericolosa, come tutte le vere discontinuità storiche (un tempo meglio note come "rivoluzioni"). Nessuno oggi è in grado di valutare in che direzione si muoverà questo movimento cittadino che è stupido etichettare come "grillino", perché va ben al di là dell'icona di Grillo e del marchio 5 stelle, e coinvolge culture, storie, realtà sociali molto diverse ma tutte in cammino, in movimento appunto. Pateticamente inutili si dimostrano le schiere di saccenti professorini e di sondaggisti che si affaticano ad alambiccare su cosa accadrà. Invece di dispensare lezioni a destra e a manca, farebbero semplicemente meglio a osservare e a imparare. Perché nulla sarà più come prima. E anche un pezzo della Sinistra si ostina a non guardare e a non interrogarsi, barricandosi dietro logore certezze e tristi luoghi comuni. Questa è la parte peggiore del declino di un nobile pensiero. Questa è la negazione di un mondo che voleva cambiare il Mondo e che oggi sembra voler solo conservare piccoli e meschini punti di vista. Apriamo allora le stanze del pensiero politico. Cambiamo aria. In Italia, è quasi primavera!

sabato 2 marzo 2013

Ascoltare il Paese

Ascolto Dario Fo parlare alla 7. E ascolto il "giovane turco" Orfini del PD. C'è qualcosa che non va: mentre il grande vecchio si interroga sul nostro devastante e inumano modello di sviluppo - che distrugge ambiente e persone -, ecco che, con nonchalance, il "democratico" dice che l'accordo con i grillini è facile: un po' di deputati in meno, un po' di riduzione sull'indennità parlamentare, un po' di legge elettorale diversa. Poi candidamente aggiunge: "e che sarà se sulla TAV la pensiamo diversamente?", che sarà se un'intera comunità si oppone strenuamente all'idea di inutili e antistorici corridoi europei? E' proprio qui che appare chiaro come la distanza sia abissale: la democrazia non è un semplice e frettoloso maquillage per tenere tranquilla la buona coscienza degli italiani (per poi continuare come se nulla fosse). No, Democrazia è interrogarsi sino in fondo sulla direzione su cui si muove la nostra società, sul nostro essere comunità, sulla nostra Storia e sul nostro futuro. Ma su questi grandi temi il PD sembra da troppo tempo disattento. E' forse per questo che il PD non ha più nulla a che fare oggi con quel "veniamo da lontano e andiamo lontano" che ha animato intere generazioni e che ha dato significato a tante passioni politiche e civiche? Su questo dovrebbe davvero interrogarsi il PD: l'avere perso l'anima della Politica, l'avere adottato acriticamente un modello di modernizzazione mercatista che porta inesorabilmente al disastro. E, ciò che è peggio, Bersani & Co. pensano di fare cosa buona dicendo: "basterà un po' di sensibilità sociale e tutto si rimetterà a posto". E' questa culturale inadeguatezza che rende oggi impossibile un accordo tra il PD e chi sempre più nel Paese chiede un radicale e definitivo cambiamento. Giampietro Pizzo