martedì 25 giugno 2013

Finale di partita

Un governo che non sa fare di conto e un Paese alla deriva.
Cercano 8 miliardi - per coprire un punto di IVA e l'IMU prima casa - e ne spendono senza battere ciglio 14 per gli F35.
Un mix di incompetenza, di interessi privati, mascherati da disegni strategico-militari, e di inettitudine. Nel mentre Berlusconi tratta per salvare come sempre sé stesso: tratta nel Palazzo e minaccia nelle piazze.
Siamo un popolo ormai rassegnato: in qualsiasi altro Paese europeo avrebbero messo termine da un pezzo a questa tragicomica e interminabile farsa. Invece - ed è forse il segnale più preoccupante - siamo psicologicamente vinti e finiamo con sopportare le cose più indecenti.
C'è puzza di fascismo dietro l'angolo, se non reagiremo presto.

domenica 9 giugno 2013

Un esonero forzoso dalla Politica


L’astensione politica non è più una scelta. Siamo, giorno dopo giorno, sempre più obbligati al silenzio, al non voto.
Questa affermazione va ben al di là della cronaca; trascende il voto amministrativo che occupa i giornali in questi giorni.
Ha invece molto a che fare con la perdita secca di democrazia di cui ogni cittadino è vittima.
Siamo afasicamente schiacciati –in molti casi storici, anche quando si è oppressi, rimane il grido della vittima; purtroppo non è questo il nostro caso – tra la gabbia emergenziale dei realisti della Politica (e costoro argomentano: “di un Governo abbiamo bisogno, costi quel che costi!) e un populismo dilagante e virale che contagia la nostra stessa volontà di cambiamento.
Ci hanno ridotto (ma chi?) a una scelta impossibile: da un lato, il doroteismo efficiente di Enrico Letta, che sa dialogare benissimo anche con la peggiore Destra europea e che immagina di trasformare il proprio governo di transizione in una risposta permanente, e, dall’altro, il grido cancheroso di Grillo che, nei panni di un nuovo Savonarola, predica e giudica il comportamento di noi umani mortali. Tertium non datur.
L’Italia è così condannata a due impossibili vie: la prima è una crescente produzione di “conflitto a mezzo di conflitto” – a cui sembrano aspirare minoritari gruppuscoli, perfettamente integrati alle logiche locali dello scambio politico; gruppi disposti amoralmente a tutto, che progettano di rendere sempre più invivibile la società e impraticabili le istituzioni purché cresca il loro peso politico e la loro capacità di negoziazione;  la seconda strada è ancor più triste e desolata: un’assenza quasi permanente di vita attiva da parte della maggioranza cittadina. Dentro questo disastroso dilemma si esaurisce il dibattito sulla riformabilità o meno della forma-partito; dentro e fuori di questo modo di intendere il vivere civile si distruggono quantità enormi di capitale sociale e di preziosa cultura politica.
Eccesso di pessimismo? Solipsistica visione di un frangente storico destinato invece a essere smentito nel giro di pochi giorni? Tutto vero, e per nulla vero.
La sola cosa certa è che l’accelerazione sociale e storica che ci percorre e nella quale siamo ahinoi rinchiusi, ci lascia un grado minimo se non nullo di previsione.
Ma chi al contrario è portatore di una diversa doxa, lanci subito la propria ipotesi!
Sarebbe molto facile smentire questo nero argomentare di Cassandra ricordando quanto ricca sia la sperimentazione, la pratica della democrazia locale: migliaia di associazioni, di gruppi costruiscono quotidianamente luoghi di scambio, riflessione, proposta. Tutto questo ha aperto un cantiere che chiamiamo per brevità Democrazia Partecipativa.
Eppure, a guardare bene, liberi dall’autocompiacimento e rigorosi nella lettura dei segni del cambiamento, dobbiamo pianamente ammettere quanto fragili e deboli siano le tracce lasciate da questo lavoro sociale nel tessuto politico e istituzionale. Certo, ci ricorda un grande intellettuale ed economista di recente scomparso, A.O. Hirschman, i fiumi sotterranei dell’innovazione sociale attingono alle nostre debolezze e ai nostri fallimenti per riemergere, chissà dove chissà quando, con improvvisi successi democratici e inattese vittorie popolari.
Ma è sul discorso politico, qui e ora, che tutto s’infrange. Annullata è la nostra voce quando si tratta di scrivere l’agenda politica italiana ed europea: sembriamo totalmente prigionieri di un ineluttabile flusso tecnocratico che non si lascia scalfire dalla vita nuda delle persone. Questa è la sconfitta odierna: i dati del dolore, del disagio, dell’infelicità collettiva sono sistematicamente ignorati dai decisori pubblici. La rabbia, la sfiducia, la voglia di mandare tutto all’aria non trova alcun ascolto negli autoreferenziali mondi della politica formale.
Ecco perché siamo condannati in tanti, troppi, a una morte civile divenuta ormai insopportabile.
Una morte civile e un esilio politico foriero di tragedie se da qualche parte non verrà un segnale, un progetto che riapra presto il ritorno alla partecipazione e alla decisione sul proprio destino da parte di una comunità stremata e offesa.
Giampietro Pizzo