Dobbiamo reagire. Non possiamo fare finta di nulla.
L'indecenza, la confusione, la perdita di senso dello Stato che percorre il Paese hanno raggiunto ormai il livello di guardia.
Le ripercussioni saranno pesantissime: non è solo la credibilità delle istituzioni ad essere in discussione, ma la solidità stessa della democrazia, come valore e come pratica sociale, che rischia di essere compromessa.
Se questa è la democrazia - pensano già in molti - che me ne faccio? Perché dovrei difenderla?
Quando ci si interroga così, quando si dubita che la democrazia possa essere altro e di più di una vuota e confusa retorica, allora vuol dire che l'involuzione autoritaria, che le spinte populiste hanno già lacerato pesantemente il tessuto sociale democratico di questo Paese.
Non basta più rassicurare, non è più sufficiente il richiamo alle responsabilità della politica perché questa si emendi e si auto-riformi. Lo sfascio culturale prima ancora che politico è andato troppo oltre per pensare a soluzioni tecniche, a misure ordinarie, a leggi elettorali di questo o quel segno.
La crisi della Politica è talmente radicale che occorre tornare alla radice. Occorre tornare là dove in questi anni si è rotto il legame tra rappresentato e rappresentante, quando il primo ha abdicato alla propria partecipazione e il secondo ha perso qualsiasi capacità di ascolto.
Se questo legame si è rotto, ed è purtroppo così, allora nulla è più come prima: la Democrazia è in pericolo e la Politica sta morendo.
Ognuno di noi in questo frangente storico ha responsabilità morali e civili altissime.
Nessuno può essere mero spettatore della crisi; nessuno può atteggiarsi a disincantato e cinico osservatore degli eventi; nessuno può dire "e io che cosa ci posso fare?".
In questa situazione davvero drammatica per il futuro del nostro Paese, chi sceglie di stare a guardare è complice del disastro. Non è un tempo in cui si possa guardare altrove, in cui le scelte personali e private possano prevalere sui doveri civici. La nostra è una responsabilità individuale ancor prima che collettiva.
Non possiamo, non dobbiamo delegare. Il "delegato" è contumace, la delega priva di contenuto. Prendiamone atto.
Dobbiamo reagire. Non saranno - lo sappiamo - le elezioni a rimettere sulla buona strada questa nostra sgangherata - ma ancora nostra! - Repubblica.
Nessun politico deve - d'ora in poi - poter decidere da solo. Occorre aprire un confronto serrato ma vero. Ovunque e subito.
Non possiamo, non vogliamo delegare. Basta assistere passivamente a "Porta a Porta", "Ballarò", "Matrix" o altri bene o male-meriti talk show! Quella non è democrazia.
Non può essere "La Repubblica" o "Il Corriere" a dire ciò che è bene e ciò che è male per il Paese: nessuno di noi ha mai scelto come portavoce né Ezio Mauro né Paolo Mieli.
L'opacità, la farraginosità, la banalità dei mass media rende semmai ancora più difficile il dibattito, il dialogo, l'impegno.
Alla grande illusione sulle magnifiche sorti e progressive della democrazia televisiva e mass-mediatica occorre rispondere ricreando luoghi veri, fisici, di incontro e di contatto politico.
Le piazze, le aule, i teatri, le sale pubbliche devono tornare a riempirsi. Prima che sia troppo tardi. La vendita culturale e materiale della cosa pubblica per una manciata di voti è l'infausto orizzonte che potrebbe attenderci. Una nuova evoluta forma di privatizzazione potrebbe essere in cantiere: dopo aver privatizzato l'economia, perché non farlo con la politica? A questo pensano i Montezemolo vecchi e nuovi, dentro e fuori Confindustria. Sarebbe davvero la fine della Democrazia: essere obbligati a scegliere tra un Manager Mediaset e un Manager FIAT!
Sul futuro nostro e dei nostri figli questo scenario rischia di pesare più di montagne di immondizia.
Dobbiamo reagire.
Giampietro Pizzo
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