domenica 27 novembre 2011

Leggere un classico: Luigi Einaudi

Di fronte alla lacerante crisi che attraversa l’Europa, e che insiste in modo particolarmente nefasto sul nostro Paese, l’unico rifugio, per riprendere fiato e per conservare un briciolo di lucidità, sembra trovarsi in qualche testo classico.
E così, mentre si susseguono mille consigli e innumerevoli ricette su cosa sarebbe meglio fare per rimettere in ordine i conti della nostra disastrata finanza pubblica, vale la pena prendere per un attimo la distanza dai fatti quotidiani e recuperare la migliore memoria del pensiero economico italiano.

Ecco una precisa descrizione (ex-ante) di come si è andato formando il nostro debito pubblico nelle parole di un grande economista e politico italiano, Luigi Einaudi.

“Supponiamo che uno Stato (…) voglia provvedere alle spese ordinarie col debito; e siano le spese ordinarie di un miliardo all’anno.
Il primo anno i contribuenti (supposto che si possano emettere titoli pubblici con una rendita perpetua del 5% contro un capitale sottoscritto di 100) sentono un beneficio poiché pagano 50 milioni d’imposta-interessi invece che un miliardo; ma il secondo anno già pagheranno 50 milioni per il debito di un miliardo dell’anno precedente e 50 milioni per il debito di un miliardo dell’anno. Nel terzo pagheranno 150 milioni, finché nel ventesimo anno dovranno pagare un miliardo di imposta-interessi sui 20 miliardi di debito accumulato in ossequio alla teoria; ed in seguito l’imposta-interessi continuamente crescerà, superando l’onere che i contribuenti dovrebbero sopportare se ogni anno avessero fatto fronte alle spese ordinarie con l’imposta.
Adunque fa d’uopo non esagerare nei prestiti pubblici, i quali devono essere conclusi esclusivamente per far fronte a delle spese veramente straordinarie.*”


Einaudi ricorda qui un sano e semplice principio di finanza pubblica: occorrono entrate ordinarie per spese ordinarie ed entrate straordinarie (imposte straordinarie o debito pubblico) per spese straordinarie (investimenti pubblici e/o spese eccezionali).
Giova ricordarlo in un Paese che ha trascurato gli investimenti pubblici essenziali (scuola e ricerca) e usato il debito per coprire le spese ordinarie (buone e cattive) e per sopperire alle mancate entrate ordinarie (elusione fiscale su taluni redditi e patrimoni ed elevatissima evasione fiscale ).
Giova ricordarlo nel momento in cui il Governo si appresta ad adottare misure tributarie che dovrebbero cominciare a rimettere i conti in ordine.

Ma di quali imposte ordinarie abbiamo bisogno? Una seconda citazione di Luigi Einaudi, a proposito di imposta patrimoniale, può ancora assisterci.

“L’imposta sul capitale o patrimonio complessivo del contribuente vuole essere il congegno correttore della sperequazione (ovvero: “ un sistema tributario che è considerato dai più come sperequato, perché tutte le fonti di reddito sono trattate alla medesima stregua, nonostante che la loro disponibilità sia variabile)”.

Infine, un ultimo pensiero va al purtroppo quasi certo aumento dell’IVA – imposta, ahinoi, facilmente riscuotibile (per chi la paga, ovvero per il consumatore) ma terribilmente regressiva (dato che grava maggiormente su chi meno ha). Una terza riflessione einaudiana sulla ricerca ossessiva degli avanzi (primari) di bilancio che speriamo ispiri ai nostri “tecnici” qualche esitazione in più.

“Prima di parlare di avanzo disponibile per ridurre il debito pubblico, bisogna avere perciò diminuito o abolito le imposte che troppo gravano sui contribuenti meno provveduti, o più disturbano la produzione od il commercio.”


PS: se tutti i liberali odierni fossero di questa statura, l’Italia sarebbe già salva.

Giampietro Pizzo

* Tutte le citazioni sono tratte da: Luigi Einaudi, “Principi di Scienza della Finanza”, Torino, 1948.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Giampietro permettimi di consigliarti di inserire nel tuo blog la possibilità di condividere i tuoi post in Facebook e/o altri soicial network, perchè sono chiari, istruttivi e interessanti. Ciao e a presto.

Iacopo M. ha detto...

La parte finale del suo articolo sembra confondere i liberisti con i liberali (di cui ironicamente ha scritto anche Einaudi!). I liberisti italiani sono figure di grande rilievo internazionale: veda Zingales, Boldrin, Stagnaro, De Nicola per certi aspetti Alesina, etc. I liberali auto-definitesi tali per scopi politici come Tremonti e Fassina sono ben altra cosa. Questi signori e le loro teorie (il primo impegnato a fermare la globalizzazione, il secondo a proporre patrimoniali al Paese che vanta allo stesso tempo la pressione fiscale più alta del mondo e la cittadinanza di Fiorito e Lusi) suscitano solo tenerezza e rassegnazione fra le persone competenti in materia.