lunedì 8 novembre 2010

I due Paesi

Per capire l’Italia di oggi non c’è bisogno di aprire i giornali, le televisioni, i media in generale. Anzi questo rende tutto più difficile, confuso, inutile. Per capire questo nostro povero e bistrattato Paese, bisogna avere occhi nuovi, ma capaci di memoria.
E’ questo che si fa drammaticamente urgente: vedere, ascoltare, capire.
Non vedono i politici che, in queste ore, ripropongono polemiche vuote, vecchi sotterfugi, giochetti tattici, dentro e fuori il Palazzo in nome di una crisi istituzionale, a sentir loro, da evitare a tutti i costi.
Non ascoltano i ministri di questo governo ormai morto, né lo fanno i capitani di ventura di un capitalismo senza vergogna, mentre predicano all’unisono ricette marce e false sulla ripresa dell’economia italiana.
Non capiscono gli esperti sondaggisti né gli analisti politici quello che di profondo, irreversibile, inedito sta accadendo nella società italiana.
Per questo dobbiamo vedere, ascoltare, capire per conto nostro.
Dobbiamo farlo fuori dal Palazzo e fuori dalle accademie; fuori dai consigli di amministrazione delle grandi società e fuori dalle riunioni di redazione dei giornali. Dobbiamo farlo noi che “fuori” da quel mondo autoreferenziale e spesso fasullo ci siamo già.
Eppure non lo possiamo fare ognuno per proprio conto: dobbiamo essere in tanti ritrovando, soprattutto, il modo di stare insieme.
Conosciamo la nostra condizione. Siamo poveri di strumenti di analisi, perché in questi anni hanno fatto tabula rasa delle pratiche di partecipazione cittadina. Siamo disorientati e spaventati, perché le mille sirene del berlusconismo sono entrate un po’ nelle orecchie di tutti: nessuno escluso. Siamo confusi e incerti nella ricerca di quali principi e regole sociali ci debbano guidare, perché l’amoralità, lo scetticismo, il qualunquismo hanno annullato decenni di democrazia.
Eppure dobbiamo farlo. E credo che molti stiano pensando la stessa cosa: che nessuno si salva dinanzi alla catastrofe culturale di un Paese; nessuno uscirebbe indenne dai crolli sociali e nessuno potrebbe sottrarsi ai fiumi di fango che irromperebbero fino in fondo alle nostre vite private e pubbliche.
E’ questa istanza, questa urgenza che io chiamerei, per intenderci, la “nuova Politica”. Una “nuova Politica” che sia un moto di salvezza, una reazione di vita, capace di attraversare le attuali appartenenze politiche sconvolgendole alla radice.
Questa azione collettiva, chiamata a salvare l’Italia, non sarà certo indolore: bisognerà saper indicare responsabilità e omissioni, ipocrisie e inettitudini; per questo, occorrerà, fra l’altro, un “radicale” ricambio di classe dirigente.
In tempi straordinari, la moderazione è cattiva consigliera e il buon senso comune è chiamato a dormire per un po’ il sonno dei giusti.
In tempi nuovi, occorre essere aperti, lungimiranti e generosi, andando oltre i rancori e le idiozie competitive, trascurando i vili egoismi individuali.
Questo accadde nei tempi bui della catastrofe fascista e dell’occupazione nazista. In quell’Italia martoriata e affamata, un ciclo nuovo si aprì. Chi ne fu protagonista non furono uomini e donne eccezionali ma persone comuni che assunsero su di sé il destino di un popolo.
Io credo che questo possa e debba – pena il caos e la barbarie – succedere in Italia oggi.

A questo progetto politico, che non ha certo segnata la strada, ma che è memore di quanto di buono si è costruito in Italia nella seconda metà del Novecento, siamo chiamati a contribuire. Lo vogliamo fare da quella parte, che si chiama Sinistra, che incarna ancor oggi, in modo inequivocabile, i valori della giustizia, dell’eguaglianza e della libertà.

Pier Paolo Pasolini, nel suo ultimo anno di vita, quasi presagendo la fine, accelerò enormemente il proprio sforzo per vedere, ascoltare e capire che cos’era l’Italia. Vide una società che si arrendeva al peggio di sé stessa; ascoltò, con tutta la sua sensibilità di poeta e di intellettuale, i mille silenzi sulle stragi di Stato e le voci mute delle vittime; capì che una nuova forza politica doveva farsi carico, prima che fosse troppo tardi, “della salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche”.
Ma quella forza politica – che per Pasolini era allora il Partito Comunista - doveva farlo andando oltre le separazioni, risolvendo innanzitutto il paradosso di accontentarsi di rappresentare “un paese pulito in un paese sporco, un paese onesto in un paese disonesto, un paese intelligente in un paese idiota, un paese colto in un paese ignorante, un paese umanistico in un paese consumistico”.
Perché l’antica divisione dell’Italia “in due paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività”.
Per questa ragione non possiamo essere solo una Parte/Partito, perché non possiamo rappresentare solo il migliore di quei due Paesi, ma dobbiamo far sì che quell’altro Paese, che ha, in questi decenni, invaso, distorto, distrutto le nostre vite, venga letteralmente meno, si dissolva, si annulli, per lasciare posto, pacificamente, a un solo grande pulito onesto intelligente colto Paese.
E’ questo l’unico obiettivo della Politica che verrà.

8 novembre 2010


Giampietro Pizzo

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