In queste ore, i venti assassini della finanza speculativa sconquassano ancora una volta, a pochi mesi dalla drammatica crisi greca, i cieli europei. E’ la volta dell’Irlanda – la “bonne élève” delle politiche europee di globalizzazione.
Purtroppo, l’instabilità monetaria, che agita le cronache dei giornali, è solo il triste annuncio di quello che rischia di succedere nelle prossime settimane: prima il prosciugamento delle già scarse risorse pubbliche comunitarie, poi, freddi e inesorabili, i tagli ai bilanci e alla spesa pubblica in molti Paesi europei.
Francesco Giavazzi scrive sul Corriere della Sera del 24 novembre che sono “l’incertezza e i ritardi della politica che preoccupano i mercati e che alimentano la speculazione”.
Mercati e speculazione– sarebbe bene che lo ammettesse per una volta Giavazzi – non sono entità metafisiche e astratte. Anzi, a ben vedere, proprio in queste ore, “mercati” e “speculazione” rappresentano interessi ben precisi, con nomi e cognomi tra i noti gruppi di investitori finanziari internazionali. Istituzioni finanziarie scientemente organizzate per lucrare sulle sciagure di interi comparti di economia pubblica e su ampie fasce di società.
Occorre dare un nome a questi professionisti della speculazione finanziaria, e il loro nome è senza enfasi: avvoltoi. Avvoltoi che, in nome del libero mercato, guadagnano in pochi secondi enormi somme di denaro giocando al ribasso o al rialzo, poco importa, sulle quotazioni dei titoli pubblici; avvoltoi che aggrediscono, alla stregua di carogne, ieri la Grecia, oggi l’Irlanda, domani il Portogallo, dopodomani la Spagna e, infine, chissà?
Sia chiaro: non sono investitori costoro e non è mercato codesto.
Ma di fronte a tanto disastro finanziario, ecco che l’economista, come ogni buon medico chiamato al capezzale del malato, emette la sua diagnosi e proclama la propria ricetta. E qual è la ricetta del medico Giavazzi? Occorre “limitare la garanzia (del Fondo europeo per la stabilità) al livello pattuito nel Trattato di Maastricht”, ovvero per un massimo del 60% del debito pubblico dei singoli Stati. Oltre quel limite – specifica Giavazzi – che ognuno si arrangi e faccia quello che meglio crede per salvarsi dagli avvoltoi, perché l’Europa intera nulla può di fronte alla potenza del mercato!
“Quello che meglio crede” è da intendersi, con le politiche monetarie e fiscali prevalenti, né più né meno che cruda macelleria sociale.
In Italia, questo significherebbe ancora una volta - e lo sappiamo già per esperienza diretta: tagli indiscriminati alla scuola, alla sanità, al welfare, all’occupazione.
Lo vediamo proprio in queste ore in Irlanda che cosa significhi macelleria sociale: decine di migliaia di posti di lavoro pubblico soppressi, tagli enormi agli investimenti, alla spesa sociale, ai consumi dei ceti medi e bassi della popolazione. Gli unici strumenti di politica economica che non vengono toccati – “per non preoccupare i mercati” – sono le esenzioni e gli incentivi fiscali alle imprese.
Tra gli analisti, qualcuno ha – mi chiedo – la più pallida idea di quali siano le conseguenze sociali di questo modo di agire? Qualcuno si interroga davvero su quale sia la valenza sociale di una redistribuzione di ricchezza di proporzioni bibliche come quella a cui assistiamo, dalle tasche di gente che fatica ad arrivare a fine mese a beneficio dei conti blindati delle istituzioni finanziarie che in questi giorni macinano profitti giganteschi di miliardi di euro?
All’indecenza morale degli avvoltoi, non è razionale né lecito rispondere con il cinismo dei macellai.
Occorre invertire la rotta prima che sia troppo tardi. Prima che i disastri che questa crisi finanziaria sta provocando producano tali quantità di odio sociale da indurre una sequela di conflitti e un caos civile che nessuno saprebbe governare.
Per questo occorre andare oltre le ciniche pratiche di economia da guerra civile che attraversano l’Europa per tornare il prima possibile alla Ragione.
Giampietro Pizzo
Venezia, 25 novembre 2010
PS: Se qualcuno volesse davvero esercitarsi con politiche di riduzione del deficit pubblico e di contenimento del debito pubblico italiano potrebbe, intanto, cominciare con fare due cose. La prima, sul fronte delle entrate, si chiama imposta sulle transazioni finanziarie, ovvero sulle speculazioni finanziarie. Ne deriverebbe un’entrata di proporzioni tali che molti dei nostri problemi fiscali assumerebbero tutt’altra proporzione. La seconda, sul fronte della spesa, si chiama riduzione drastica della spesa militare. Gli attacchi da cui dobbiamo difenderci non si arrestano certo con armi e aerei caccia. Semmai il contrario. E sarebbe proprio un bel taglio alla spesa pubblica!
giovedì 25 novembre 2010
Avvoltoi e macellai
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2 commenti:
Ma esiste un po' di speranza per il nostro povero Paese?
La speranza è sorella della ragione e cugina del coraggio civile. Per uscire dal pantano economico, finanziario e culturale in cui stiamo occorre mettere in campo un insieme di principi etici forti e occorre farlo collettivamente. Quanto stanno facendo, ad esempio, tanti ragazzi che dicono no alla distruzione del patrimonio culturale ed educativo del nostro Paese, va, io credo, in questa direzione.
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