Senza enfasi, ma dobbiamo dirlo: il 24 gennaio alle primarie per il centro-sinistra abbiamo tutti un’occasione per rimettere in gioco la democrazia cittadina.
I tre candidati alle primarie sono sotto gli occhi di tutti.
Giorgio Orsoni non viene dal basso ma dall’alto – un alto che ha odore di poteri forti e di un candidato voluto senza mezzi termini da un sindaco uscente che, nonostante abbia da tempo detto di non volere continuare a far politica, la fa eccome, segnando, fra l’altro, in modo negativo, il futuro della città (parliamo, ad esempio, di come ha imposto la sua decisione su Tessera).
Laura Fincato è, senz’altro, una donna competente e coraggiosa; ma prima di pensare a una sua candidatura come sindaco avrebbe almeno dovuto saltare un turno: è legata mani e piedi a questa Amministrazione (lei stessa responsabilmente lo rivendica). E, a dirla tutta, chi l’appoggia non è proprio il “nuovo”.
Infine, Gianfranco Bettin.
Fondamente è stato fra i promotori del programma per la città e della sua candidatura e lo è, con forza, ora che si tratta di scegliere il nome del candidato sindaco.
Perché abbiamo scelto Bettin?
Innanzitutto, perché si è messo in gioco, guardando in faccia i problemi della città e l’urgenza che tutti avvertiamo che bisogna cambiare davvero. Poi, perché ha scelto di dialogare senza mediazioni con la società civile, sapendo e riconoscendo quanto sia oggi in crisi la politica dei partiti, quanto sia urgente mettere la parola fine a una politica di pochi, che litigano davanti ai microfoni e che si mettono d’accordo dietro il sipario pochi istanti dopo.
Bettin ha deciso di ascoltare quello che i veneziani dicono sulla loro città; ascolta e dice cosa ne pensa: su Tessera, su Marghera, sulla mobilità, sulla green economy e su un’Amministrazione Pubblica che non può continuare a delegare ai privati le decisioni e le scelte che riguardano la città.
Abbiamo scelto Bettin, perché sa di non essere un “salvatore della Patria” ma parte di uno sforzo collettivo per ricostruire la credibilità della politica, l’onestà della cosa pubblica, la trasparenza dell’amministrare.
Abbiamo davanti un’occasione per ricostruire la dimensione cittadina e la democrazia locale. Senza deleghe in bianco; senza prestanome, eletti per conto di chi e di cosa non si sa.
Le primarie di domenica prossima saranno un banco di prova, perché Venezia ritrovi il posto della Politica: un luogo aperto, dove tutti possano dire la propria e vedere quello che gli amministatori fanno.
Le primarie di domenica prossima sono un’occasione: per avere un progetto per la città credibile e percorribile; un progetto alternativo alle idiozie, agli egoismi, alle insufficienze di una destra rozza e volgare che pensa alla propria pancia e non si rende conto che “fuori” produce solo “scoasse” e barbarie.
Questa è una città che ha le intelligenze e la volontà per costruire il proprio futuro: un futuro aperto, equo e sostenibile.
Fondamente - Gruppo di cultura politica
domenica 17 gennaio 2010
Domenica 24 gennaio: un’occasione per la democrazia cittadina
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sabato 9 gennaio 2010
Il senso della Politica
Stasera, all’incontro di Favaro sul Quadrante di Tessera, ho pensato e ho sentito quanto la politica sia importante nella nostra vita.
Non è retorica. Non è esagerazione.
Molti anni fa – era il 1984 – in una calda serata di giugno, un signore, minuto e secco, lasciava, a tutti coloro che erano in quella piazza e ai molti che lo avrebbero rivisto, nei giorni successivi, sui giornali e per televisione, e ancora, negli anni a venire, nei mille documentari che hanno riprodotto e narrato quel momento, un messaggio: “la politica è qualcosa per cui vale la pena di spendere la propria vita”.
Sembra retorica, oggi, dire questo. Sembra esagerato, quasi falso, banalmente mediatico, oggi, dire questo. Eppure, quella sera – e nessuno di noi, ventenni, che eravamo in quella piazza poteva davvero immaginare che si trattasse di un testamento ideale – tornando a Venezia, ci interrogammo sul senso di quelle parole.
Parole dette da un uomo sulla sessantina, che ci era sempre apparso secco, quasi arido nel parlare. Un po’ burocrate nell'aspetto; senz’altro un funzionario di partito.
Chissà perché ricordo ora quel momento, che ha segnato la mia biografia e la storia di questo nostro amato e difficile Paese?
Ma no – mi è chiaro - lo ricordo perché oggi ho avvertito, fra la tanta gente che affollava la piccola sala del consiglio del Municipio di Favaro, un sentimento collettivo autentico e non banale.
Ho sentito che la Politica è fatto collettivo; è energia di molti dedicata al bene comune; è capacità di ragionare sulle scelte del presente guardando al futuro; è senso pratico e organizzato di sapere che le Istituzioni siamo noi cittadini, nel bene e nel male.
Non sono un ingenuo. E insisto: tutto questo non è trita retorica.
A Favaro, questa sera, abbiamo ragionato di procedure, di varianti urbanistiche, di destinazione d’uso. Cose tecniche ed aride – direbbero i più. Eppure, negli occhi di chi ascoltava e di chi parlava, non trapelava né noia né “professione”. Era passione ed interesse per la nostra vita cittadina e comune.
Se penso a cosa dovrebbe e dovrà essere la nuova e buona Politica, oggi penso a questo. E’ partecipazione; è controllo sociale; è informazione responsabile; è pragmatico senso del vivere in società. E’ fare comunità dentro e fuori delle istituzioni pubbliche (luoghi riappropriati, non delegati, rivissuti).
Se penso a cosa dovrebbe e dovrà essere la nuova e buona Politica, stasera penso a quella piazza di Padova, nel 1984, e a quell’uomo, che ha segnato la mia vita e la vita di tanti come me.
Giampietro
Non è retorica. Non è esagerazione.
Molti anni fa – era il 1984 – in una calda serata di giugno, un signore, minuto e secco, lasciava, a tutti coloro che erano in quella piazza e ai molti che lo avrebbero rivisto, nei giorni successivi, sui giornali e per televisione, e ancora, negli anni a venire, nei mille documentari che hanno riprodotto e narrato quel momento, un messaggio: “la politica è qualcosa per cui vale la pena di spendere la propria vita”.
Sembra retorica, oggi, dire questo. Sembra esagerato, quasi falso, banalmente mediatico, oggi, dire questo. Eppure, quella sera – e nessuno di noi, ventenni, che eravamo in quella piazza poteva davvero immaginare che si trattasse di un testamento ideale – tornando a Venezia, ci interrogammo sul senso di quelle parole.
Parole dette da un uomo sulla sessantina, che ci era sempre apparso secco, quasi arido nel parlare. Un po’ burocrate nell'aspetto; senz’altro un funzionario di partito.
Chissà perché ricordo ora quel momento, che ha segnato la mia biografia e la storia di questo nostro amato e difficile Paese?
Ma no – mi è chiaro - lo ricordo perché oggi ho avvertito, fra la tanta gente che affollava la piccola sala del consiglio del Municipio di Favaro, un sentimento collettivo autentico e non banale.
Ho sentito che la Politica è fatto collettivo; è energia di molti dedicata al bene comune; è capacità di ragionare sulle scelte del presente guardando al futuro; è senso pratico e organizzato di sapere che le Istituzioni siamo noi cittadini, nel bene e nel male.
Non sono un ingenuo. E insisto: tutto questo non è trita retorica.
A Favaro, questa sera, abbiamo ragionato di procedure, di varianti urbanistiche, di destinazione d’uso. Cose tecniche ed aride – direbbero i più. Eppure, negli occhi di chi ascoltava e di chi parlava, non trapelava né noia né “professione”. Era passione ed interesse per la nostra vita cittadina e comune.
Se penso a cosa dovrebbe e dovrà essere la nuova e buona Politica, oggi penso a questo. E’ partecipazione; è controllo sociale; è informazione responsabile; è pragmatico senso del vivere in società. E’ fare comunità dentro e fuori delle istituzioni pubbliche (luoghi riappropriati, non delegati, rivissuti).
Se penso a cosa dovrebbe e dovrà essere la nuova e buona Politica, stasera penso a quella piazza di Padova, nel 1984, e a quell’uomo, che ha segnato la mia vita e la vita di tanti come me.
Giampietro
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