E’ incredibile come la nostra attenzione mediatica possa essere distratta.
La “lunga guerra” balcanica continua e si aggrava a pochi passi da qui, ma anche gli eventi più drammatici sembrano lontani e irrilevanti per i giornali e per il dibattito politico italiani.
Eppure la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo peserà moltissimo sull’Italia e sull’Europa.
Pesa e peserà su un’Europa che è ormai l’ombra di sé stessa. Un’Europa priva di significato economico e sociale per i cittadini europei e per quelli che potrebbero domani diventarlo; un’Europa – ed è questo che davvero brucia - senza uno straccio di progetto politico.
“Ognuno per proprio conto” – questo è ormai il motto con cui in Europa si fa politica estera. E mentre in Italia D’Alema dice sì, nella socialista Spagna Zapatero dice no. Nessuno si straccia le vesti ma neppure si sorprende. Sono passati dieci anni dai bombardamenti su Belgrado e ci ritroviamo ancora nello stesso clima di guerra e di odio.
Dov’è dunque finito quel grande e nobile progetto per una Europa di pace e benessere che entusiasmò molti di noi solo pochi anni fa? Sepolto, a quanto pare, sotto cumuli di insipienza, di indifferenza, di falso realismo politico; il tutto condito in una mediocre salsa americana.
Ma che cosa potrà davvero essere il Kosovo indipendente? Un micro Stato accanto ad altri micro Stati. Così fu per la Bosnia dilaniata da una guerra fratricida, così è per quella “terra di nessuno”, divenuta indipendente l’anno scorso, chiamata Montenegro.
Senza tema di essere tacciati come filoserbi, si tratta di riconoscere semplicemente che il Kosovo indipendente è il frutto di una decisione americana, sostenuta e amplificata da anni d’inerzia diplomatica europea.
Il Kosovo è indipendente ma non sarà mai indipendente. No, non è un bisticcio di parole, perché alla dichiarazione politica si accompagna – e tutti lo sanno – l’impossibilità per quel paese di essere economicamente e finanziariamente autosufficiente. Uno Stato coloniale destinato a un eterno sussidio europeo e internazionale.
Bisogna, in questo frangente, ricordare che la responsabilità della ricostruzione è stata in questi anni delegata all'ONU, e il risultato è uno Stato in mano alla criminalità: 'It is a Mafia society', dicono fonti autorevoli. Il potere se lo sono preso le bande armate, grazie alla protezione offerta dagli Stati Uniti. Per il Pentagono uno stato debole ha due vantaggi: assicura la piena extraterritorialità delle basi militari e consente alle forze occupanti di comportarsi come dei fuorilegge.
Il triste bilancio del Kosovo è di essere diventato in questi anni di “protettorato” americano ed europeo, il crocevia di una florida economia del narcotraffico, così come il Montenegro lo è da tempo del contrabbando e dei traffici illegali di armi.
Dall’altra parte della frontiera – che noi europei abbiamo contribuito a tracciare - vi è una crescente indifferenza nei confronti del dramma serbo.
Una nazione, la Serbia, smembrata e sbeffeggiata a più riprese, senza che nessuno misurasse sino in fondo la portata storica di tale condotta. Eppure la Storia insegna che quando si alimentano odî e rancori, si preparano inesorabilmente i conflitti e le guerre di domani.
L’Europa vista dai Balcani non lascia purtroppo sperare nulla di buono.
Una cosa è certa: l’Italia rischia di perdere un amico, mentre aumentano, da una parte e dall’altra dell’Adriatico, la confusione e i dissidi.
Vale la pena di ricordare, infine, che dinnanzi allo spettro della secessione nessuno è immune.
In questi giorni l’Italia e l’Europa – con la sola eccezione della Spagna - hanno contribuito a creare un terribile precedente.
E se domani qualcuno dichiarasse unilateralmente l’indipendenza basca o padana, chi oserebbe argomentare l’inconsistenza di un simile atto politico?
Giampietro Pizzo
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