L’Europa odierna, nelle sue varie declinazioni - da Renzi a
Schulz, da Barroso a Hollande, per non parlare della Merkel – è contenuta in
un’architettura rigidissima; una costruzione che pretendeva di essere
avvenieristica ma che si è rivelata invece fragilissima, e destinata a crollare
alla minima scossa sismica.
Rigidità, questo è purtroppo il carattere dominante
dell'Europa voluta con i Trattati di Maastricht e di Lisbona: massimo 3% di
disavanzo, massimo 60% di debito pubblico sul PIL, eccetera. Vincoli senza forze, materiali senza un
progetto.
E se la rigidità è l'attributo prevalente del corpo istituzionale europeo, va ricordato allora che la
sclerosi è una grave patologia della vecchiaia e non corrisponde affatto agli
attributi di una creatura, l’Europa appunto, che nel 1990 si pensava come
giovane e prospera. Ecco perché ora è indispensabile cambiare registro.
Nei
prossimi mesi avremo bisogno di flessibilità e reattività: reattività con
quanto accade in Europa e nel Mondo; flessibilità rispetto alle domande sociali
insoddisfatte. Un’Europa in simbiosi con le forze positive: idee, energie
sociali, coesione; un’Europa in grado di contrastare e di produrre anticorpi
dinanzi a quanto mina il nostro futuro: guerra, speculazioni finanziarie,
rendite parassitarie e competitività economiche ingiustificate.
In questi giorni, uno studioso francese ha ben descritto la
nostra attuale condizione di europei: l’Europa ha definito con ostinata
precisione il "testo" (le regole) ma non ha saputo governare per
nulla il "contesto" (la realtà). (A rettifica, io aggiungerei che anche
il "testo" dovrà essere emendato, se vorremo governare al meglio il "contesto").
A conferma di questa tesi basti ricordare l'incapacità di
Bruxelles, Francoforte e Strasburgo nel reagire alla crisi economica
internazionale del 2007 e ancora – nelle ultime settimane - la sordità e cecità
di fronte a quanto andava accadendo ai confini dell'Europa (vedi Ucraina).
Sapremo ora reagire alla peggior crisi del dopoguerra e ai nuovi
minacciosi venti di guerra?
Certo, sarà compito difficile, ma per farlo occorrerà innanzitutto
ritrovare la dinamica propria a un organismo politico: un organismo in grado di
riconoscere i bisogni e le potenzialità delle comunità; un organismo in grado
di esprimere un compiuto progetto di vita sociale. Un organismo, in sintesi,
capace di far dialogare le sue varie parti (gli Stati membri) concependoli non
come strumenti contrapposti ma come organi integrati, cioè come parti
indispensabili, gli uni agli altri.
Se viceversa qualcuno pensa di poter continuare a governare
l'Europa come se fosse una stupida struttura gerarchica, o peggio ancora una
vecchia catena di montaggio con un centro (l'asse Germania/Francia) che dà
ordini al resto dell'Europa, è bene che questa élite politica si ricreda. Oppure dovremo, il prima possibile, metterla in condizione di non
nuocere.
Venezia, 1 marzo 2014
Giampietro Pizzo
PS: Per memoria storica, vale la pena ricordare che un vero
riformatore e socialista come Jacques Delors negli anni '80 aveva ben capito
quale fosse la sfida: far interagire le varie parti del corpo europeo. Per questo ideò e mise in opera un investimento
straordinario a scala europea: i fondi strutturali per la coesione sociale e territoriale, per far sì che l'Europa
mediterranea potesse recuperare almeno in parte la distanza che la separava dal centro europeo.
Dopo Delors, purtroppo, si sono susseguiti a Bruxelles politici di pessima qualità e burocrati
ancor peggiori; e questi, il va sans dire, hanno percorso tutt’altra strada.
Riprendere ora il cammino, per sanare gli errori di questi decenni, sarà
compito non comune ma necessario, per tutti coloro che credono davvero
nell'Europa.
Nessun commento:
Posta un commento