L’astensione politica non è più una scelta. Siamo, giorno
dopo giorno, sempre più obbligati al silenzio, al non voto.
Questa affermazione va ben al di là della cronaca; trascende
il voto amministrativo che occupa i giornali in questi giorni.
Ha invece molto a che fare con la perdita secca di
democrazia di cui ogni cittadino è vittima.
Siamo afasicamente schiacciati –in molti casi storici, anche
quando si è oppressi, rimane il grido della vittima; purtroppo non è questo il nostro
caso – tra la gabbia emergenziale dei realisti della Politica (e costoro
argomentano: “di un Governo abbiamo bisogno, costi quel che costi!) e un
populismo dilagante e virale che contagia la nostra stessa volontà di
cambiamento.
Ci hanno ridotto (ma chi?) a una scelta impossibile: da un
lato, il doroteismo efficiente di Enrico Letta, che sa dialogare benissimo anche
con la peggiore Destra europea e che immagina di trasformare il proprio governo
di transizione in una risposta permanente, e, dall’altro, il grido cancheroso
di Grillo che, nei panni di un nuovo Savonarola, predica e giudica il
comportamento di noi umani mortali. Tertium non datur.
L’Italia è così condannata a due impossibili vie: la prima è
una crescente produzione di “conflitto a mezzo di conflitto” – a cui sembrano
aspirare minoritari gruppuscoli, perfettamente integrati alle logiche locali
dello scambio politico; gruppi disposti amoralmente a tutto, che progettano di
rendere sempre più invivibile la società e impraticabili le istituzioni purché
cresca il loro peso politico e la loro capacità di negoziazione; la seconda strada è ancor più triste e
desolata: un’assenza quasi permanente di vita attiva da parte della maggioranza
cittadina. Dentro questo disastroso dilemma si esaurisce il dibattito sulla
riformabilità o meno della forma-partito; dentro e fuori di questo modo di
intendere il vivere civile si distruggono quantità enormi di capitale sociale e
di preziosa cultura politica.
Eccesso di pessimismo? Solipsistica visione di un frangente
storico destinato invece a essere smentito nel giro di pochi giorni? Tutto vero,
e per nulla vero.
La sola cosa certa è che l’accelerazione sociale e storica che
ci percorre e nella quale siamo ahinoi rinchiusi, ci lascia un grado minimo se
non nullo di previsione.
Ma chi al contrario è portatore di una diversa doxa, lanci subito
la propria ipotesi!
Sarebbe molto facile smentire questo nero argomentare di
Cassandra ricordando quanto ricca sia la sperimentazione, la pratica della
democrazia locale: migliaia di associazioni, di gruppi costruiscono
quotidianamente luoghi di scambio, riflessione, proposta. Tutto questo ha
aperto un cantiere che chiamiamo per brevità Democrazia Partecipativa.
Eppure, a guardare bene, liberi dall’autocompiacimento e
rigorosi nella lettura dei segni del cambiamento, dobbiamo pianamente ammettere
quanto fragili e deboli siano le tracce lasciate da questo lavoro sociale nel
tessuto politico e istituzionale. Certo, ci ricorda un grande intellettuale ed
economista di recente scomparso, A.O. Hirschman, i fiumi sotterranei
dell’innovazione sociale attingono alle nostre debolezze e ai nostri
fallimenti per riemergere, chissà dove chissà quando, con improvvisi successi
democratici e inattese vittorie popolari.
Ma è sul discorso politico, qui e ora, che tutto s’infrange.
Annullata è la nostra voce quando si tratta di scrivere l’agenda politica
italiana ed europea: sembriamo totalmente prigionieri di un ineluttabile flusso
tecnocratico che non si lascia scalfire dalla vita nuda delle persone. Questa è
la sconfitta odierna: i dati del dolore, del disagio, dell’infelicità
collettiva sono sistematicamente ignorati dai decisori pubblici. La rabbia, la
sfiducia, la voglia di mandare tutto all’aria non trova alcun ascolto negli
autoreferenziali mondi della politica formale.
Ecco perché siamo condannati in tanti, troppi, a una morte
civile divenuta ormai insopportabile.
Una morte civile e un esilio politico foriero di tragedie se
da qualche parte non verrà un segnale, un progetto che riapra presto il ritorno
alla partecipazione e alla decisione sul proprio destino da parte di una
comunità stremata e offesa.
Giampietro Pizzo
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