domenica 28 aprile 2013

La saggezza di Pangloss e il governo Letta I


Battezzando il Letta I, Napolitano dichiara: "è questo il migliore dei governi possibili". 
Ma io ricordo un'altra sentenza del genere, scritta qualche secolo fa,  da Voltaire: "ecco il migliore dei mondi possibili" - sentenziava il dottor Pangloss (alias Leibniz). 
E giù guerre, terremoti, carestie e altre disgrazie. 
Riassunta in una secca frase la quintessenza della saggezza di Napolitano-Pangloss? 
Nel mentre noi, poveri cittadini italiani, moltiplicate legioni di disperati Candide del XXI secolo, c'interroghiamo preoccupati: "Si, c'est ici le meilleur des mondes possibles, que sont donc les autres?".
Lasciamo naturalmente a Napolitano-Pangloss - e al suo fido pupillo Letta I - l'ardua sentenza.


giovedì 4 aprile 2013

Fermare la deriva, invertire la rotta




Prima hanno seminato vento e ora raccolgono tempesta.
Vale la pena scomodare questa massima biblica per descrivere la linea di condotta che ha ispirato in questi anni la politica italiana.
Proviamo a spiegare perché.
Per molto, troppo tempo la destra berlusconiana ha sparso per ogni dove il vento malsano della demagogia, alimentando i miasmi del falso sogno che ognuno potesse bastare a sé stesso, che arricchirsi fosse sacrosanto, anche a costo di calpestare ogni elementare principio di giustizia, cioè disprezzando letteralmente il prossimo e la cosa pubblica.
Per molto, troppo tempo il centrosinistra ha sostenuto che tutti i mali avevano una comune radice: originati da un’impresentabile destra italiana e dalla sua corruzione endemica; ecco, sarebbe bastato voltare pagina, rimettersi al lavoro con caparbietà e ostinazione; occorreva essere realisti, dei “buoni tecnici”  e, soprattutto, bisognava lasciar fare al mercato: per magia, tutto sarebbe andato a posto, avrebbe ripreso il suo giusto corso, e l’Italia avrebbe ritrovato finalmente il proprio posto tra i grandi del mondo.
Per troppo, troppo tempo, la politica italiana si è esaurita in questo assurdo e falso minuetto, chiedendo a tutti noi di sottoscrivere beotamente questa rappresentazione del mondo e questo modo d’intendere le cose italiane.
Per lustri (o per legislature – decidete voi come computare il tempo) i professionisti (sic!) della politica hanno chiesto a noi italiani di dichiararci pro-Berlusconi oppure pro-Prodi, e poi pro-Veltroni, pro-Bersani, pro-qualcuno.  Nell’intermezzo, qualche “lucida” mente (con il senno di poi, a ben vedere, lucida solo di sudorazione per l’eccessiva esposizione mediatica ai riflettori televisivi) ci ha edotto, a più riprese e con insopportabile arroganza e saccenza, sul perché il bipolarismo fosse il nostro ineluttabile destino. Noi avremmo solo dovuto scegliere una casacca: essere juventini o milanisti, punto– con buona pace dei tanti storici interisti, minoritari fiorentini, istintivi romanisti o vetero-laziali, eccetera, eccetera. “Il multipartitismo è morto e sepolto” – chiosavano le acute menti del Gotha politico italiano.

E tutto questo perché? Perché avremmo dovuto dividerci in due sole bande? Perché il nostro voto doveva andare ineluttabilmente a est o a ovest, e non anche a sud, a nord o a sud-ovest?  Perché tanta protervia nell’orientare il nostro consenso? La pronta risposta non poteva mancare: ma per la Politica, per il Governo, perdinci! Per il sangue di tanti giovani, donne e uomini che, settant’anni fa, con inaudito coraggio, salirono in montagna per la nostra Libertà!
Noi, giustamente, abbiamo a lungo preso sul serio quei signori; abbiamo creduto ai loro argomenti quando rievocavano quegli eroi e quell’eredità. Molto sul serio, li abbiamo presi. Perché dalla Politica dipendevano e dipendono – e lo sanno anche i bambini – le decisioni sul nostro vivere comune. Perché al Governo del Paese era affidato il timone della nostra Comunità.

Ebbene, signore e signori, tutto questo è finito da un pezzo. E’ giunta l’ora che lo dichiariate (siate onesti, per una volta!): da almeno dieci anni, nessuna decisione rilevante appartiene più al Parlamento italiano e al Governo di questa Repubblica.
Questo non significa che non abbiate nel frattempo contribuito a produrre danni enormi: il collasso della Scuola, ad esempio, o lo smantellamento di una Sanità che tutti ci invidiavano o, ancora, la distruzione sistematica di industrie di eccellenza, per finire con la devastazione del Territorio, in nome di un sedicente Progresso costretto tutto dentro mirabolanti infrastrutture.
Ma le cose del Governo, come recitavano gli antichi, cioè l’Economia, la Moneta, le Regole fondamentali sono tutte pensate, scritte e decise altrove. Altrove, dove? A Bruxelles, a Francoforte e a Strasburgo, quando si tratta di prossimità europea. Hanno nomi criptici: Fiscal Compact, Two-Pack, Stability and Growth Pact, ecc.

Poi, quando si tratta di cose di vita o di morte, quando si tratta di Guerra o di Pace, le decisioni si prendono ancora più lontano: a Washington, a Mosca, e ormai anche a Pechino.

Ecco perché semplicemente non abbiamo più fiducia in voi, signori di destra, di sinistra o di centro. Non vi crediamo, non perché non esistano ancora la Destra, la Sinistra e il Centro, ma perché pianamente ci avete preso in giro, avete preteso il nostro consenso per nulla, chiedendoci periodicamente un mandato parlamentare, regionale e amministrativo fondato sul nulla; imbonendoci magari, di tanto in tanto, pur di restare abbarbicati su una scena istituzionale vuota, triste e inutile.

Eppure, se una Comunità perde, per menzogna dei propri sedicenti rappresentanti, la Fiducia in sé stessa, questo fatto sociale è di una gravità assoluta. E’ questo il vulnus costituzionale al quale abbiamo assistito e del quale siete responsabili voi tutti, voi che per un decennio avete abitato, giorno dopo giorno, ora dopo ora, i luoghi della politica: al Quirinale, a Palazzo Chigi, a Montecitorio, a Palazzo Madama, e giù discendendo.

Avreste dovuto semplicemente compiere un atto di verità, un atto che in Politica in alcuni frangenti della Storia è determinante. Avreste dovuto dire: cari cittadini, il nostro Paese è ridotto a un’espressione geografica, è un Ente a sovranità limitata, anzi limitatissima: nessuna decisione fondamentale ci appartiene più perché il Potere è evaporato. Alcune gocce “potenti” si sono condensate in Europa, altre chissà dove sono finite. Sarebbe stato un atto dovuto per mantenere vivo quel prezioso patto fiduciario. Invece no, avete preferito coltivare la menzogna, l’ignavia, la mediocrità.

Sulle vostre miserie si è necessariamente imposto l’unico sovrano reale, il Mercato, e alla sua corte sono cresciuti vecchi e nuovi satrapi, annidati qua e là, spesso in uffici anonimi e ben protetti dalle indiscrezioni dei media (che invece si occupano professionalmente d’altro).  Per quel riguarda la nostra contea, accanto ad alcuni feudatari nazionali – Merkel, Hollande, Cameron - siede un plenipotenziario, prossimo e visibile: è il signor Mario Draghi.

Che ne è allora di quel Popolo sovrano al quale siamo stati educati e che è alla base della nostra carta costituzionale? In quale esilio è stato cacciato?
Il Popolo italiano, esule in terra domestica, stenta a rialzare la testa: è confuso, depresso, incazzato, di fronte a tanta insipiente arroganza.

Ma se vorrà davvero riconquistare un pezzettino sia pur piccolo del proprio primato perduto dovrà distogliere lo sguardo dal chiuso orto nazionale e lanciare, se ne sarà capace, tutt’altra sfida; dovrà farlo con ben altri strumenti, e con ben altri interlocutori rispetto a quelli che assediano le tribune televisive e che hanno militarmente occupato le urne elettorali poche settimane orsono.
Per questa sfida andrà immaginata una radicale e distinta Politica, capace di guardare alto, all’Europa, al Mediterraneo, oltre Atlantico, a Oriente. Per questo compito dovremo, noi Popolo sovrano, attrezzarci di saperi e competenze oggi indisponibili, impadronirsi della Geografia, della Storia, dell’Economia sfuggendo all’ignoranza massmediatica e liberandoci finalmente dalla retorica della piccola e stolta Patria leghista e fascista.
Se, come profeticamente ci indicavano Spinelli e Colorni tanti anni fa, la nostra vera Patria è l’Europa, per quella e su quella vogliamo esprimere il nostro voto e determinare il nostro consenso.
Ecco perché la prossima prima e vera battaglia per la ricostruzione di una Politica alta, fiera e degna, dovrebbe chiamarsi Parlamento Europeo: per rendere finalmente, dopo tanti anni di voto inutile, quel luogo, oggi vuoto e indifferente, un autentico luogo della Politica, un luogo in cui sia possibile ricondensare nelle nostre mani un frammento di quel potere evaporato.
E’ troppo sognare? Forse, ma ne varrebbe davvero la pena, rispetto al triste pantano a cui è ridotto il nostro condominio nazionale.
Ma nessuno s’agiti per il momento. Per il momento, nessun panico colga i nostri esimi statisti: il pilota automatico della nave dei folli battezzata Europa è saldamente inserito e nessun ardimentoso ha avuto ancora l’ardire di avvicinarsi alla cabina di pilotaggio per disinserirlo.

Chi voglia preparare questa avventura sappia che non si tratta di commettere un atto di violenza inconsulta e di compiere un anacronistico elogio della follia, ma di dare semplicemente la stura a un autentico e semplice atto di Democrazia sovrana.
Il resto è cronaca: sono dettagli, dettagli atroci che i popoli europei stanno pagando giorno dopo giorno: in Grecia, a Cipro, in Spagna, in Portogallo, in Italia. E purtroppo, domani, altrove. Fino a che...

Giampietro Pizzo