Prima hanno seminato
vento e ora raccolgono tempesta.
Vale la pena scomodare questa massima biblica per descrivere
la linea di condotta che ha ispirato in questi anni la politica italiana.
Proviamo a spiegare perché.
Per molto, troppo tempo la destra berlusconiana ha sparso
per ogni dove il vento malsano della demagogia, alimentando i miasmi del falso
sogno che ognuno potesse bastare a sé stesso, che arricchirsi fosse sacrosanto,
anche a costo di calpestare ogni elementare principio di giustizia, cioè
disprezzando letteralmente il prossimo e la cosa pubblica.
Per molto, troppo tempo il centrosinistra ha sostenuto che
tutti i mali avevano una comune radice: originati da un’impresentabile destra
italiana e dalla sua corruzione endemica; ecco, sarebbe bastato voltare pagina,
rimettersi al lavoro con caparbietà e ostinazione; occorreva essere realisti, dei
“buoni tecnici” e, soprattutto, bisognava
lasciar fare al mercato: per magia, tutto sarebbe andato a posto, avrebbe ripreso
il suo giusto corso, e l’Italia avrebbe ritrovato finalmente il proprio posto
tra i grandi del mondo.
Per troppo, troppo tempo, la politica italiana si è esaurita
in questo assurdo e falso minuetto, chiedendo a tutti noi di sottoscrivere
beotamente questa rappresentazione del mondo e questo modo d’intendere le cose
italiane.
Per lustri (o per legislature – decidete voi come computare
il tempo) i professionisti (sic!) della politica hanno chiesto a noi italiani di
dichiararci pro-Berlusconi oppure pro-Prodi, e poi pro-Veltroni, pro-Bersani,
pro-qualcuno. Nell’intermezzo, qualche
“lucida” mente (con il senno di poi, a ben vedere, lucida solo di sudorazione
per l’eccessiva esposizione mediatica ai riflettori televisivi) ci ha edotto, a
più riprese e con insopportabile arroganza e saccenza, sul perché il
bipolarismo fosse il nostro ineluttabile destino. Noi avremmo solo dovuto scegliere
una casacca: essere juventini o milanisti, punto– con buona pace dei tanti
storici interisti, minoritari fiorentini, istintivi romanisti o vetero-laziali,
eccetera, eccetera. “Il multipartitismo è morto e sepolto” – chiosavano le
acute menti del Gotha politico italiano.
E tutto questo perché? Perché avremmo dovuto dividerci in
due sole bande? Perché il nostro voto doveva andare ineluttabilmente a est o a ovest,
e non anche a sud, a nord o a sud-ovest?
Perché tanta protervia nell’orientare il nostro consenso? La pronta
risposta non poteva mancare: ma per la Politica, per il Governo, perdinci! Per
il sangue di tanti giovani, donne e uomini che, settant’anni fa, con inaudito
coraggio, salirono in montagna per la nostra Libertà!
Noi, giustamente, abbiamo a lungo preso sul serio quei
signori; abbiamo creduto ai loro argomenti quando rievocavano quegli eroi e
quell’eredità. Molto sul serio, li abbiamo presi. Perché dalla Politica
dipendevano e dipendono – e lo sanno anche i bambini – le decisioni sul nostro
vivere comune. Perché al Governo del Paese era affidato il timone della nostra
Comunità.
Ebbene, signore e signori, tutto questo è finito da un
pezzo. E’ giunta l’ora che lo dichiariate (siate onesti, per una volta!): da
almeno dieci anni, nessuna decisione rilevante appartiene più al Parlamento
italiano e al Governo di questa Repubblica.
Questo non significa che non abbiate nel frattempo contribuito
a produrre danni enormi: il collasso della Scuola, ad esempio, o lo
smantellamento di una Sanità che tutti ci invidiavano o, ancora, la distruzione
sistematica di industrie di eccellenza, per finire con la devastazione del
Territorio, in nome di un sedicente Progresso costretto tutto dentro
mirabolanti infrastrutture.
Ma le cose del Governo, come recitavano gli antichi, cioè l’Economia,
la Moneta, le Regole fondamentali sono tutte pensate, scritte e decise altrove.
Altrove, dove? A Bruxelles, a Francoforte e a Strasburgo, quando si tratta di
prossimità europea. Hanno nomi criptici: Fiscal Compact, Two-Pack, Stability
and Growth Pact, ecc.
Poi, quando si tratta di cose di vita o di morte, quando si
tratta di Guerra o di Pace, le decisioni si prendono ancora più lontano: a
Washington, a Mosca, e ormai anche a Pechino.
Ecco perché semplicemente non abbiamo più fiducia in voi,
signori di destra, di sinistra o di centro. Non vi crediamo, non perché non
esistano ancora la Destra, la Sinistra e il Centro, ma perché pianamente ci
avete preso in giro, avete preteso il nostro consenso per nulla, chiedendoci
periodicamente un mandato parlamentare, regionale e amministrativo fondato sul
nulla; imbonendoci magari, di tanto in tanto, pur di restare abbarbicati su una
scena istituzionale vuota, triste e inutile.
Eppure, se una Comunità perde, per menzogna dei propri
sedicenti rappresentanti, la Fiducia in sé stessa, questo fatto sociale è di
una gravità assoluta. E’ questo il vulnus costituzionale al quale abbiamo
assistito e del quale siete responsabili voi tutti, voi che per un decennio
avete abitato, giorno dopo giorno, ora dopo ora, i luoghi della politica: al Quirinale,
a Palazzo Chigi, a Montecitorio, a Palazzo Madama, e giù discendendo.
Avreste dovuto semplicemente compiere un atto di verità, un
atto che in Politica in alcuni frangenti della Storia è determinante. Avreste
dovuto dire: cari cittadini, il nostro Paese è ridotto a un’espressione
geografica, è un Ente a sovranità limitata, anzi limitatissima: nessuna
decisione fondamentale ci appartiene più perché il Potere è evaporato. Alcune
gocce “potenti” si sono condensate in Europa, altre chissà dove sono finite.
Sarebbe stato un atto dovuto per mantenere vivo quel prezioso patto fiduciario.
Invece no, avete preferito coltivare la menzogna, l’ignavia, la mediocrità.
Sulle vostre miserie si è necessariamente imposto l’unico
sovrano reale, il Mercato, e alla sua corte sono cresciuti vecchi e nuovi
satrapi, annidati qua e là, spesso in uffici anonimi e ben protetti dalle
indiscrezioni dei media (che invece si occupano professionalmente d’altro). Per quel riguarda la nostra contea,
accanto ad alcuni feudatari nazionali – Merkel, Hollande, Cameron - siede un
plenipotenziario, prossimo e visibile: è il signor Mario Draghi.
Che ne è allora di quel Popolo sovrano al quale siamo stati
educati e che è alla base della nostra carta costituzionale? In quale esilio è
stato cacciato?
Il Popolo italiano, esule in terra domestica, stenta a
rialzare la testa: è confuso, depresso, incazzato, di fronte a tanta insipiente
arroganza.
Ma se vorrà davvero riconquistare un pezzettino sia pur piccolo
del proprio primato perduto dovrà distogliere lo sguardo dal chiuso orto
nazionale e lanciare, se ne sarà capace, tutt’altra sfida; dovrà farlo con ben
altri strumenti, e con ben altri interlocutori rispetto a quelli che assediano
le tribune televisive e che hanno militarmente occupato le urne elettorali
poche settimane orsono.
Per questa sfida andrà immaginata una radicale e distinta
Politica, capace di guardare alto, all’Europa, al Mediterraneo, oltre
Atlantico, a Oriente. Per questo compito dovremo, noi Popolo sovrano,
attrezzarci di saperi e competenze oggi indisponibili, impadronirsi della Geografia,
della Storia, dell’Economia sfuggendo all’ignoranza massmediatica e liberandoci
finalmente dalla retorica della piccola e stolta Patria leghista e fascista.
Se, come profeticamente ci indicavano Spinelli e Colorni
tanti anni fa, la nostra vera Patria è l’Europa, per quella e su quella
vogliamo esprimere il nostro voto e determinare il nostro consenso.
Ecco perché la prossima prima e vera battaglia per la ricostruzione
di una Politica alta, fiera e degna, dovrebbe chiamarsi Parlamento Europeo: per
rendere finalmente, dopo tanti anni di voto inutile, quel luogo, oggi vuoto e
indifferente, un autentico luogo della Politica, un luogo in cui sia possibile
ricondensare nelle nostre mani un frammento di quel potere evaporato.
E’ troppo sognare? Forse, ma ne varrebbe davvero la pena,
rispetto al triste pantano a cui è ridotto il nostro condominio nazionale.
Ma nessuno s’agiti per il momento. Per il momento, nessun
panico colga i nostri esimi statisti: il pilota automatico della nave dei folli
battezzata Europa è saldamente inserito e nessun ardimentoso ha avuto ancora l’ardire
di avvicinarsi alla cabina di pilotaggio per disinserirlo.
Chi voglia preparare questa avventura sappia che non si
tratta di commettere un atto di violenza inconsulta e di compiere un
anacronistico elogio della follia, ma di dare semplicemente la stura a un autentico
e semplice atto di Democrazia sovrana.
Il resto è cronaca: sono dettagli, dettagli atroci che i
popoli europei stanno pagando giorno dopo giorno: in Grecia, a Cipro, in
Spagna, in Portogallo, in Italia. E purtroppo, domani, altrove. Fino a che...
Giampietro Pizzo